Alzheimer, la ricerca punta sulla molecola anti-neuroinfiammazione
ROMA – La ricerca sull’Alzheimer va avanti e la patologia non diventerà orfana di cure. Per gli 800mila pazienti italiani, in tutto 3 milioni di persone contando anche i familiari dei malati, un nuovo trattamento promette di bloccare i sintomi iniziali del disturbo, ritardando l’avanzamento della malattia. Un intervento innovativo che agisce sul controllo della neuroinfiammazione e del connesso stress ossidativo localizzato, rallentando il loop di sofferenza neuronale e l’esordio conclamato della patologia.
“Sulla malattia di Alzheimer la ricerca sta facendo grandi progressi e in questo senso il controllo della neuroinfiammazione costituisce la punta di diamante, un filone di grandissimo interesse che e a breve darà importanti risultati– spiega Carlo Caltagirone, professore di neurologia all’Università di Roma Tor Vergata e direttore scientifico della Fondazione Santa Lucia-
Alcune molecole che agiscono come mediatori nei sistemi endocannabinoidi, come la PEALut (palmitoiletanolamide co-ultramicronizzata con Luteolina), si stanno rivelando promettenti nella riduzione dell’infiammazione e del contemporaneo controllo dello stress ossidativo localizzato e quindi nel ritardo dell’avanzamento della malattia”.
La neuroinfiammazione perfettamente controllata costituisce un efficace meccanismo di autodifesa per mantenere l’equilibrio omeodinamico cerebrale. Sebbene non costituiscano causa primaria di malattia, neuroinfiammazione non controllata e stress ossidativo localizzato, determinano segni e sintomi iniziali di neurodegenerazione contribuendo in maniera rilevante all’evoluzione progressiva in patologia conclamata.
Le ultime strategie terapeutiche puntano proprio al controllo della neuroinfianmmazione, modulando l’interazione tra le cellule non-neuronali disregolate (microglia, astrociti, mastociti) per preservare l’integrità funzionale del ‘neurone centrale’.
“Cellule come la microglia hanno la capacità di rispondere agli eventi lesionali producendo meccanismi di limitazione degli effetti negativi- spiega l’esperto-.
In qualche caso questi effetti sono cronici e producono a distanza di tempo effetti generalizzati sulle cellule del sistema nervoso centrale, portando alla riduzione del numero di neuroni, al deposito di proteine patologiche, e quindi a demenza.
Studi pilota dimostrano che queste molecole, se assunte tempestivamente all’evidenza dei primi sintomi della malattia, riducono la risposta infiammatoria acuta della microglia e i fenomeni ossidativi localizzati.
La Pealut si assume per via orale, viene assorbita rapidamente e non ha effetti collaterali. La terapia deve durare diversi mesi e, nel corso del tempo, si ripetono più cicli”.
“Lo scenario della ricerca scientifica sulle malattie neurodegenerative in Italia è molto confortante- conclude Caltagirone- La decisione di Pzifer di disinvestire nella ricerca sull’Alzheimer infatti non deve preoccupare, Pfizer è solo uno degli stakeholder, ha fatto degli errori e ne paga le conseguenze, ma sono già anni che ha diminuito gradualmente i suoi investimenti e adesso lo ha reso ufficiale.
Per fortuna ci sono molte altre aziende ancora attive nella ricerca in neuroscienze, esistono altre case farmaceutiche che stanno lavorando oltre a molti programmi finanziati da Comunità europea, Miur e ministero della Salute”.
Fonte: «Agenzia DIRE» – «www.dire.it»