Cagliari – Un capolavoro del Novecento, “Filumena Marturano” di Eduardo De Filippo con la regia di Liliana Cavani (al suo esordio in teatro) e Mariangela D’Abbraccio e Geppy Gleijeses nei ruoli dei protagonisti sbarca nell’Isola sotto le insegne de “La Grande Prosa” firmata CeDAC nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna.
La celebre pièce che affronta temi cruciali come il ruolo della donna nella società, l’amore e il matrimonio, la responsabilità dei genitori e il riconoscimento dei diritti dei figli debutterà in prima regionale debutta martedì 9 gennaio alle 21 al Teatro Comunale di Sassari per approdare da mercoledì 10 fino a domenica 14 gennaio al Teatro Massimo di Cagliari (tutti i giorni da mercoledì a sabato alle 20.30, la domenica alle 19 e giovedì doppia recita con la pomeridiana alle 16.30) per una riflessione sull’evoluzione della famiglia tra ironia e poesia.
Incontro con gli artisti: venerdì 12 gennaio alle 17.30 al Cinema Odissea di Cagliari – Mariangela D’Abbraccio e Geppy Gleijeses e la compagnia incontreranno il pubblico in un nuovo appuntamento con “Oltre la scena” a cura del giornalista e critico de “Il Manifesto” Gianfranco Capitta – ingresso libero fino a esaurimento posti
COMUNICATO del 07.01.2018
Splendida metafora di un’Italia ferita dalla guerra, all’alba di una rinascita “Filumena Marturano” di Eduardo De Filippo – in cartellone in prima regionale martedì 9 gennaio alle 21 al Teatro Comunale di Sassari poi da mercoledì 10 fino a domenica 14 gennaio al Teatro Massimo di Cagliari (tutti i giorni da mercoledì a sabato alle 20.30, la domenica alle 19 e giovedì doppia recita con la pomeridiana alle 16.30) per la Stagione de “La Grande Prosa” organizzata dal CeDAC nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna, affronta una questione cruciale come la trasformazione del diritto di famiglia nell’evoluzione della società.
Sotto i riflettori Mariangela D’Abbraccio e Geppy Gleijeses – due attori che hanno esordito e si sono formati proprio con il teatro del grande drammaturgo napoletano – nei ruoli dei protagonisti, insieme a un’affiatata compagnia, per la regia di Liliana Cavani (al suo debutto come regista teatrale), che afferma «Il mio battesimo nella prosa (ammesso che ci sia poi un seguito) non poteva accadere con un’opera teatrale migliore».
La grande cineasta, autrice di film indimenticabili – dallo storico “Francesco d’Assisi” al ritratto di “Galileo”, “I cannibali” in una moderna rilettura di “Antigone”, “L’ospite” e “Milarepa”, lo straordinario e inquietante “Il portiere di notte”, “Al di là del bene e del male” e “La pelle”, fino a “Dove siete? Io sono qui” e “Il gioco di Ripley”, racconta: «È un testo che mi piace moltissimo da sempre, ho anche amato il film di De Sica con Sofia Loren e Mastroianni (con lui ho realizzato due film). È un’opera di grande impegno morale e oltretutto in anticipo sui tempi e scritto senza retorica, ma con la naturalezza della vita. Un capolavoro». E conclude: «Del resto il teatro è abbastanza simile alla “vita”. Ci si ripete e ci si rinnova ogni giorno nelle nostre case, si prova ad essere felici, ad aggiustare le cose, si prova e riprova ad amare si ama un uomo per sempre come Filumena, si amano i figli e lo si spiega anche alla Vergine Maria come fa Filumena. Filumena crede nella vita, la ama, la trova vivibile per quello cerca di raddrizzare le storture, di vincere le ingiustizie. Eduardo deve aver amato moltissimo questa commedia, perché è pura vita».
Nel cast – oltre a Mariangela D’Abbraccio e Geppy Gleijeses – spiccano i nomi di Nunzia Schiano e Mimmo Mignemi, accanto a Ylenia Oliviero, Elisabetta Mirra, Agostino Pannone, Gregorio De Paola, Adriano Falivene e Fabio Pappacena; scene e costumi sono diRaimonda Gaetani e le musiche originali portano la firma di Teho Teardo (l’assistente alla regia è Marina Bianchi).
“Filumena Marturano” è una commedia dolceamara, costruita con perfetto meccanismo teatrale, incentrata sulla figura della protagonista, una donna di umili origini, costretta a vendere il suo corpo, poco più che adolescente, per sostenere la famiglia, che con grande coraggio e dignità è riuscita progressivamente e silenziosamente a trasformarsi nell’amministratrice della casa e dei beni di un antico amante, Domenico Soriano, detto Don Mimì, giovane gaudente grazie all’eredità del padre pasticciere ma dedito ai vizi e piaceri ancora nell’età matura, del quale ha tollerato i capricci e le avventure finché egli, che la considera poco più di una serva, decide di scacciarla per convolare a nuove nozze.
Una vita di sacrifici e umiliazioni, con dedizione appassionata e muta presso un uomo ricco, narcisista e insensibile, da cui, come si scoprirà, ella ha saputo trarre vantaggio non solo per sé, si riscatta in momento di ribellione quanto, fingendosi in fin di vita, Filumena ottiene da Domenico la soddisfazione di un matrimonio concesso come gesto di pietà verso una morente, salvo che poi la sposa quasi defunta si rialza prontamente, già rimessa in salute come per miracolo. L’inganno è palesato, ma quella promessa “estorta” e quell’atto ottenuto per vie traverse non hanno alcun valore, specialmente per Soriano, che già sognava il funerale della sposa anelando alle nozze con la nuova “fidanzata”: il sipario si apre sul conflitto già in atto tra Filumena e Domenico, in uno scambio di accuse da cui affiorano i nodi di una convivenza difficile, più per convenienza che per amore.
L’orgoglio ferito dell’uomo, vittima a suo modo di vedere degli intrighi di una donna “da niente” che ora l’ha quasi in pugno, subisce un altro colpo davanti alla rivelazione dell’esistenza di un figlio nato negli anni intensi e più appassionati della loro relazione: egli insisterà per scoprirne l’identità, per sapere chi sia dei tre figli che la donna ha cresciuto di nascosto, tenendoli a balia e seguendoli e amandoli a distanza con i proventi della sua antica professione e più tardi risparmiando sui conti di casa. Ma Filumena serberà il segreto fino alla fine, anche quando in qualche modo quel matrimonio celebrato con l’inganno si trasformerà in un vero legame riconosciuto e Domenico Soriano, forse colpito dalle sue nuove responsabilità di padre deciderà di mettere la testa a posto o quanto meno di offrire alla donna che gli è stata accanto per gran parte dell’esistenza – e l’ha in fondo amato per tutta la vita – il giusto posto nella famiglia e nella società.
«’E figlie so’ ffiglie… E so’ tutte eguale… Hai ragione Filume’, hai ragione tu!» è la frase emblematica con cui Domenico Soriano si arrende alle ragioni del cuore rivendicate da Filumena, che giovane e poverissima aveva rinunciato alla soluzione più facile, scegliendo di non liberarsi di quel fardello, ma di dare alla luce quei tre bambini, forse “figli della colpa”, e in un caso dell’amore ma sicuramente creature innocenti. La prostituta – confidando nella bontà e nella protezione della Madonna – si era assunta la responsabilità di quelle tre vite, vegliando sui tre bambini finché si erano fatti uomini, e nell’ora più buia, quando viene rinnegata da quell’uomo che la tratta come una schiava è a loro che si rivolge e si presenta, cogliendoli di sorpresa e subito uno di loro si offre di accoglierla. Un’altra lezione – tra le righe – perché mostra come spesso l’affetto e la tolleranza, la solidarietà si trovano più facilmente tra chi ha meno da perdere – e apparentemente da dare: ma già nel mettere in evidenza le contraddizioni e l’ambiguità della società, che esteriormente condanna ma di fatto si serve della prostituzione, e la forza dell’amore che sboccia a dispetto dei pregiudizi, a conferma che al di là della posizione e del “mestiere” siamo tutti uguali,Eduardo De Filippo in “Filumena Marturano” propone un messaggio modernissimo e rivoluzionario a fronte di tanta, troppa ipocrisia.
Il “riscatto” sociale della protagonista avviene grazie alle sue capacità, alla sua intelligenza e alla sua forza d’animo, a fronte della frivolezza e superficialità di Don Mimì che a cinquant’anni conserva non solo l’aspetto, ma pure il modo di ragionare di un giovane scapestrato, ma Filumena, spinta ad un’azione “estrema” come la finzione per ottenere sia pure “in articulo mortis” la celebrazione del matrimonio, finisce con il mettere tutte le carte in tavola, con la dolorosa consapevolezza che non sia possibile recuperare il tempo perduto.
«Dummì, o’ bello de’ ‘figlie l’avimmo perduto…’Figlie so chille che se teneno mbraccia, quando so’ piccirille ca te danno preoccupazione quanno stanno malate e nun te sanno dicere che se sénteno… che te corrono incontro cu’ è braccelle aperte, dicenno: “Papà” … Chille ca’ è vvide venì d’ ‘a scola cu’ ‘e manelle fredde e ‘o nasillo russo e te cercano ‘a bella cosa… ». La speranza per il futuro è che si possa davvero “ricreare” una famiglia – come auspica Soriano – ma ciò potrà avvenire solo partendo dal rispetto e forse da quel che resta dell’amore.