Ironia in nero con “Il Club delle Vedove” di Ivan Menchell – in tournée nell’Isola per la Stagione di Prosa 2017-18 organizzata dal CeDAC nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna.
La brillante commedia, incentrata sull’amicizia al femminile e sulle diverse strategie per sopravvivere a una tragedia, debutterà in prima regionale martedì 23 gennaio alle 21 al Teatro Nelson Mandela di Santa Teresa Gallura. La pièce che affronta temi cruciali come l’amore e la morte, mettendo l’accento sulle regole e le convenzioni sociali, sull’amarezza della solitudine e sul desiderio di ricominciare a vivere sarà poi in cartellone mercoledì 24 gennaio alle 21 al Teatro Civico Oriana Fallaci di Ozieri, giovedì 25 gennaio alle 21 al Teatro del Carmine di Tempio Pausania e infine venerdì 26 gennaio alle 21 al Padiglione Tamuli delle ex Caserme Mura di Macomer.
Sotto i riflettori un’attrice versatile e di grande temperamento come Caterina Costantini (con all’attivo una intensa carriera sul palcoscenico, accanto ad artisti come Nando Gazzolo, Marina Malfatti e Gianrico Tedeschi, Aldo Reggiani, Paola Borboni, Regina Bianchi e Antonio Casagrande) assieme a Lorenza Guerrieri (la Nadja dello sceneggiato “Michele Strogoff”, una carriera fra teatro e cinema) e Marina Occhiena (cantante e attrice, dal quartetto dei “Ricchi e Poveri” all’Isola dei Famosi) nei ruoli delle tre protagoniste, per la regia di Silvio Giordani. Completano il cast Lucia Ricalzone e Carlo Ettore, le evocative scenografie sono di Vera Roman e i costumi di G&P Roma, mentre le musiche dello spettacolo sono di Eugenio Tassitano – produzione Planet Production.
“Il Club delle Vedove” racconta il profondo legame che unisce tre donne accomunate da un identico destino, ovvero la perdita dei rispettivi mariti, sottolineando gli aspetti grotteschi e gli “eccessi” di tre esistenze consacrate alla memoria dei defunti, in cui le visite al cimitero diventano le uniche occasioni mondane mentre le conversazioni insistono sui comportamenti più o meno consoni di amiche e conoscenti, e specialmente sulle stravaganze di una loro coetanea che, benché non più giovanissima, continua a collezionare con innegabile ottimismo nuovi matrimoni (e funerali). Focus sull’antitesi tra Eros e Thanatos nella pièce che affronta con humour e leggerezza – ma senza sminuirne l’importanza – un argomento delicato e complesso come l’elaborazione del lutto, un passaggio indispensabile per ritrovare l’equilibrio interiore dopo il grave trauma e riprendere il controllo della propria vita, aprendosi a nuove esperienze per scoprire quel che riserva il futuro.
Le tre dame in nero – fondatrici e attiviste di quel club dal nome così particolare ed emblematico – sembrerebbero preferire isolarsi e richiudersi tra i ricordi del passato, sottrarsi idealmente agli occhi del mondo per fermare il tempo nell’istante più doloroso, quasi avvolgendosi anch’esse in un sudario, ma in realtà ciascuna di esse vive o sopporta in maniera differente la propria condizione, il senso di smarrimento e di vuoto. I loro matrimoni non sono stati tutti egualmente felici, e quindi la necessità di tenere accesa la fiaccola di un’antica passione varia per ognuna ma son soprattutto i caratteri, e quindi le inclinazioni e le aspirazioni a distinguerle e quando all’orizzonte si profila un possibile corteggiatore l’armonia dell’affiatato trio sembra destinata a spezzarsi. L’attrazione fatale – o forse solo la simpatia – per un uomo, anche lui vedovo, mette in discussione principi consolidati e condivisi, mostrando che la dedizione al perduto consorte e quella fedeltà imperitura che supera perfino la formula del giuramento forse non hanno per tutte loro un identico significato. La commedia mostra come le reazioni siano spesso imprevedibili e come inatteso un tenero sentimento possa sbocciare tra le fredde pietre di un cimitero: innamorarsi di qualcun altro non è necessariamente una mancanza di rispetto verso il marito defunto, semmai un segnale che la vita può ricominciare e che quella tragedia per quanto dolorosa non rappresenta la fine di tutto.
“Il Club delle Vedove” offre lo spunto per confrontarsi con questioni importanti, e ineludibili come la morte – in una chiave volutamente ironica non per sminuirne la drammaticità ed irreparabilità ma proprio a sottolineare come essa faccia parte della vita: un’esperienza dolorosa, che può diventare parte di una crescita personale, se si trova la forza per vincere l’amarezza salvando i più preziosi e bei ricordi, e riscoprendo la felicità delle piccole cose, ma soprattutto la pièce rammenta come ciascuno debba sentirsi libero di affrontare a modo suo, secondo la sua sensibilità e con i suoi tempi.
I riti funebri possono costituire una consolazione, un rifugio per alcuni, ma non per tutti e la pièce sottilmente mette in discussione l’ipocrisia di una società che vorrebbe rinnegare la verità della vecchiaia e della morte, nascondendole allo sguardo, e che per salvare le apparenze per secoli ha affidato alle donne il ruolo di custodi di un focolare ormai spento, dopo averle immolate a logiche di potere e politiche patrimoniali, trascurando il loro diritto di essere se stesse e di scegliere chi amare – eventualmente in tarda età. Il fuoco della passione dà spesso scandalo ma seguire le ragioni del cuore è forse l’unica chiave della felicità.