Il sodalizio criminale – che operava in Roma da diversi anni – era costituito da numerosi associati, tutti indagati e molto attivi all’interno della struttura criminale, che provvedevano a procacciare nuovi clienti, costituire società c.d. “cartiere”, predisporre false fatture e riciclare il denaro corrisposto a fronte del pagamento dei documenti fraudolentemente emessi. I clienti finali, ai quali gran parte delle somme venivano poi retrocesse sotto forma di contanti, potevano illecitamente finanziarsi senza correre il rischio che le transazioni fossero “tracciate” dal sistema bancario.
In alcuni casi l’articolato sistema di frode è stato usato anche per sottrarre risorse a società prossime al fallimento, creando un grave danno per i creditori delle stesse. È stata l’efficacia del c.d. “presidio antiriciclaggio” che ha permesso di portare alla luce
numerose operazioni finanziarie anomale ed indirizzare l’azione investigativa dei finanzieri, i quali, coordinati dalla Procura di Roma, hanno poi minuziosamente ricostruito l’operatività dell’organizzazione filmando gli incontri per la riconsegna del denaro contante e acquisendo centinaia di comunicazioni intercorse tra gli indagati attraverso l’utilizzo dei social network.
Le società “cartiere”, che hanno emesso false fatture per circa 78 milioni di euro, erano intestate a “teste di legno”, retribuite con un compenso di 1.000 euro al mese. I clienti, invece, pagavano le fatture con bonifico bancario e, successivamente, il denaro veniva distribuito ai “camminatori” che, ogni mattina, avevano il compito di prelevarlo. Le somme prelevate giornalmente da ciascun soggetto venivano poi imbustate e restituite alle centinaia di clienti dell’organizzazione, tra cui persone fisiche ed aziende, tutti iscritti nel registro degli indagati.
Tra gli “addetti ai prelievi” figurava anche un intero nucleo familiare, composto da madre, padre, figlio e fidanzata, che svolgeva l’attività “a tempo pieno”, dal momento che l’organizzazione garantiva loro l’1% delle somme quotidianamente prelevate.
Il flusso finanziario creato e gestito dalla complessa impresa criminale, ha consentito di riciclare oltre 55 milioni di euro, mentre, con le somme residuate dalla consistente massa di fatture false, i capi potevano mantenere il sodalizio florido e attivo, garantendo ai collaboratori retribuzioni sicure e finanziando altre società sempre loro riconducibili ed effettivamente
operative.
Oltre alla custodia in carcere disposta nei confronti dell’ideatore dell’organizzazione, il GIP ha disposto gli arresti domiciliari di altri due vertici e l’obbligo di presentarsi quotidianamente alla Polizia Giudiziaria nei confronti di un quarto sodale.