Immigrazione, “Die Welt” intervista Minniti
ROMA – ‘Abbiamo dimostrato che possiamo ridurre il flusso di rifugiati senza costruire fili spinati e muri’. Così il ministro dell’Interno Marco Minniti che in un’intervista a Die Welt, viene definito ‘l’architetto dell’accordo sui rifugiati con la Libia e, ora, poco prima delle elezioni è il più popolare politico del Paese’.
Die Welt: Sig. Minniti l’Italia il 4 marzo andrà al voto. Molti ritengono che, invece dell’ex Premier Renzi, Lei dovrebbe, dato che è il politico più amato dell’Italia, candidarsi alla guida del Partito Democratico, si vuole candidare?
Minniti: assolutamente no! L’importante è che noi consegniamo agli italiani un’Italia diversa da quella del 2013. All’epoca l’economia era in recessione, la situazione della politica migratoria era difficile. L’Italia era il malato d’Europa, ora non lo è più grazie alla nostra politica di stabilità e di riforme e, in un certo senso, anche grazie alla nostra politica migratoria.
Die Welt: che ha portato avanti negli ultimi anni, che lo ha reso uno dei politici più popolari del Paese.
Minniti: per un politico la popolarità è importante ma non bisogna farsi eccessivamente condizionare. Sono passati ormai 20 anni dal mio primo incarico di governo. Spero di aver rappresentato il mio Paese con dignità ed onore come prevede la nostra Costituzione. Mi sta a cuore il fatto che l’Italia proceda nel percorso intrapreso e che la politica europea ed italiana sul Nord Africa possa proseguire, soprattutto in Libia, dove non abbiamo ancora raggiunto l’obiettivo.
Die Welt: proprio ora l’Italia ha deciso la partecipazione alla missione militare in Niger, punto nevralgico per il traffico di esseri umani e per i terroristi dell’Isis, ed ha aperto in quel Paese un’Ambasciata.
Minniti: già dall’inizio del 2017 abbiamo puntato su una soluzione al confine meridionale della Libia che oggi è controllato meglio. In caso contrario, il Paese sarebbe diventato un collo di bottiglia. Il punto centrale è però che i combattenti dello Stato islamico provenienti dalla Siria e dall’Iraq stanno ritornando sia in Nord Africa, sia anche in Europa. Non si tratta di un rientro ordinato, ma di una fuga caotica, di una diaspora. I combattenti cercano di mettersi in sicurezza e lo fanno attraversando qualunque via percorribile e quindi anche attraverso la rotta dei migranti. Ciò che solo alcuni mesi fa sembrava impossibile, ossia il fatto che i valorosi combattenti dell’Isis si imbarcassero su dei gommoni fatiscenti , è ora diventato possibile. Si richiede pertanto la massima allerta.
Die Welt: nel 2017, grazie all’accordo con la Libia, ha fermato l’immigrazione. Perché non l’ha fatto nessun altro prima di lei?
Minniti: non abbiamo fermato l’immigrazione, ma cercato di governarla. Si tratta di un problema planetario che sarà centrale nei futuri rapporti tra l’Europa e l’Africa, soprattutto per quanto riguarda, la sicurezza, il terrorismo, i flussi demografici, le materie prime e le risorse energetiche.
Die Welt: come è riuscito così velocemente a raggiungere l’Accordo con la Libia?
Minniti: è stata una corsa contro il tempo. Avevamo in Italia anni difficili dietro di noi e abbiamo rischiato persino una rottura con l’Europa. Una politica come l’Europa aveva attuato sulla rotta balcanica, rapida e con il dispiegamento di grandi mezzi, doveva ora essere realizzata nel cuore del Mediterraneo.
Die Welt: si è sentito abbandonato dall’Europa?
Minniti: non sarebbe servito a lamentarsi e basta, mettendo in gioco la nostra politica con l’UE, anche se l’Unione Europea aveva lasciato la problematica del Mediterraneo ai Paesi limitrofi. Quando noi però abbiamo messo sul tavolo una strategia organica relativa all’immigrazione che aveva quale scopo la soluzione del problema dell’altra sponda del Mediterraneo, la reazione è stata cordiale ma scettica. Sembrava di aver osato troppo.
Die Welt: risultava difficile comprendere che Lei avesse a che fare con un Paese totalmente instabile?
Minniti: non potevamo basarci su rapporti consolidati come hanno fatto la Germania e l’Europa con la Turchia. La Turchia è un Paese forte, con interlocutori affidabili. In Libia le cose sono diverse, ma con Al Sarraj (Presidente del Consiglio del Governo di Unità Nazionale) ci univa la convinzione che la lotta contro i trafficanti di esseri umani era anche una lotta per la stabilità del Paese. Il 2 febbraio abbiamo sottoscritto a Roma con Al Sarraj il primo Memorandum, il giorno prima del Vertice UE di Malta del 3 febbraio, cui ha fatto seguito la firma della pace tra i Capi tribù dei Suleiman Tuareg e Tebu il 31 marzo a Roma e poi l’incontro avvenuto il 14 luglio con i Sindaci delle Municipalità libiche maggiormente interessate dal traffico di esseri umani. Il Gen.le Chalifa Haftar (detentore del potere in Libia orientale) è venuto due volte a Roma.
Die Welt: la sua origine calabrese l’ha aiutata di fatto nei negoziati, come ha detto poc’anzi?
Minniti: i Capi tribù si erano chiusi per 72 ore in una stanza vicino al mio ufficio per i negoziati. Poi mi hanno invitato per poter giungere più facilmente ad un accordo insieme a me. “Noi siamo beduini e i nostri accordi sono patti di sangue”, hanno detto, alludendo ad una consuetudine calabrese. Ma si trattava naturalmente solo di una battuta. In un Paese come la Libia le relazioni diplomatiche non bastano, bisogna essere anche in grado di costruire rapporti di fiducia.
Die Welt: le Organizzazione dell’ONU, le Organizzazioni non governative, anche i politici del suo Partito hanno fatto aspre critiche alle conseguenze derivanti dall’Accordo con la Libia in materia di diritti umani. Perché la Cancelliera Federale Angela Merkel, dopo l’accordo con la Turchia, è stata risparmiata da tali critiche?
Minniti: non lo so. Mi interessano soltanto i risultati. L’Italia continua a lavorare con 6 delle 7 ONG che operano nel Mediterraneo. Ci sono decisamente meno vittime. L’accoglienza dei rifugiati continua. La Guardia Costiera libica ha portato avanti 22 mila operazioni di salvataggio. L’argomento delle condizioni nei campi profughi libici non è di ieri. Da 10 anni il traffico di esseri umani proveniente dall’Africa si concentra in Libia, Paese che non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra sui diritti umani. Nessuno si è mai posto la domanda di come le organizzazioni ONU e le altre organizzazioni per i diritti umani potessero operare in Libia. Anche grazie al nostro Accordo con la Libia ciò è stato reso possibile.
Die Welt: cosa viene fatto concretamente per i migranti?
Minniti: l’OIM (Organizzazione Internazionale per la Migrazione) ha eseguito 19.200 rimpatri volontari. L’UNHCR, la Commissione per i Rifugiati ONU, è autorizzata a identificare, direttamente sul posto, i migranti che hanno diritto alla protezione. Finora la Libia non aveva mai concesso di riconoscere lo status di rifugiato agli stranieri presenti nel suo territorio nazionale.
Die Welt: e che ne è di questi rifugiati?
Minniti: il 22 dicembre abbiamo, grazie alla Conferenza episcopale italiana, organizzato un primo corridoio umanitario ed abbiamo portato in Italia 162 fra donne e bambini. Questa è una svolta storica.
Die Welt: per quanto riguarda la sua politica in materia di sicurezza e di migrazione Lei è spesso paragonato a politici quali Matteo Salvini della Lega Nord o Silvio Berlusconi. Ciò non la disturba?
Minniti: non mi fa nessun effetto. Ritengo che il cuore di una politica di sinistra orientata alle riforme sia anche quella di occuparsi delle paure e delle debolezze della società e quindi anche della politica di sicurezza. La differenza tra me ed i populisti è che io desidero liberare i cittadini dalle paure, mentre i populisti vogliono incatenare le persone alle loro paure.
Die Welt: la collaborazione europea sarà più semplice in futuro?
Minniti: il 2017 ci ha insegnato che noi possiamo governare i flussi migratori, senza fili spinati o muri. Abbiamo ridotto, negli ultimi sei mesi, il numero dei nuovi arrivi al 68%. I nostri hot-spot sono vuoti. E’ stato evitato lo sfaldamento dell’Unione Europea, abbiamo sventato i piani dei populisti. I vertici di Parigi e di Abidjan mostrano che l’Europa ora ha un’agenda comune per l’Africa. 250 milioni di euro per il Fondo per l’Africa sono molto meno dei 3 miliardi per la Turchia. D’altro canto è positivo che la Germania abbia contribuito al finanziamento del fondo prima dell’Italia e che i Paesi di Visegrad abbiano partecipato anch’essi con 35 milioni.
Die Welt: cosa pensa del Cancelliere austriaco Sebastian Kurz?
Minniti: non è stato molto lungimirante reagire con l’idea dei carri armati al Brennero, proprio nel momento in cui l’Italia si era impegnata seriamente per la politica dei rifugiati. Qual era il messaggio, doveva essere un incoraggiamento? Allora diciamo di non averlo inteso in tal senso.
Fonte: «Agenzia DIRE» – «www.dire.it»