Su Sessantotto. Sembra di primo acchito cosa facile tracciare un quadro riassuntivo di questo romanzo: la storia di Careluna, una ragazza che verso la fine degli anni Sessanta del secolo scorso si muove tra il suo paese – della Sardegna centrale – e Roma per completare con la tesi di laurea gli studi universitari.
Ma, a ben guardare, mentre ci si inoltra nella lettura delle non poche pagine emerge una serie di fatti, di riferimenti e di addentellati che, anche se proposti con linguaggio semplice, immediato, danno luogo a una notevole complessità, che offre più di uno spunto di riflessione.
C’è intanto la grande città vista con gli occhi della giovane che arriva da un piccolo centro di periferia e, nonostante la sua condizione di studentessa, vive fino in fondo il dramma del distacco tipico dell’emigrazione: mentre nel pensionato in cui lavora per mantenersi agli studi incontra persone provenienti dai luoghi più disparati, all’università ha a che fare con professori rigorosi e di fama come Argan e Paratore.
A sostenerla in un luogo e nell’altro c’è la solidarietà di coetanei, amici, compagni, e soprattutto di altri giovani provenienti dall’isola; e da casa arrivano lettere che le confermano il calore della famiglia.
Quando poi torna al paese riprende contatto per un verso con un ricchissimo patrimonio di tradizioni – c’è anche l’ Ardia, perché questo suo paese è Sedilo – e per l’altro con le idee di cambiamento e anche di ribellione coltivate dai gruppi d’avanguardia: frequenta di tanto in tanto un circolo guidato da maturi rivoluzionari conosciuti come “Su Maoista” e “Tziu Lenin”, ma anche “Tziu Caballeru”, in ricordo di Giuseppe Cavallera, il socialista animatore dei battellieri di Carloforte.
Ma questo è solo un aspetto dei contrasti che emergono dalle pagine del libro, che si presenta come un racconto – a tratti anche molto dettagliato – della vita quotidiana che si conduceva a quei tempi (chi li ha vissuti dovrà riconoscerne la veridicità).
Le contrapposizioni ci sono nel pensionato, con alcune della suore che lo governano, e naturalmente nell’università, con l’autoritarismo dei professori; e poi anche a casa, in famiglia, tra i figli che fremono per l’ansia di scoprire il mondo e i genitori che li vorrebbero veder crescere e maturare intorno a sé, come avveniva in passato.
Per orientarsi in un mondo così tumultuoso la protagonista si nutre delle letture che andavano per la maggiore in quegli anni, da Gramsci a Marcuse a Mao, ma anche don Milani, il maestro di Barbiana, e Aldo Capitini, il pacifista; e riflette sui temi che venivano via via alla ribalta, dal femminismo alla rivoluzione, dal divorzio alla contraccezione; ma allo stesso tempo non perde il contatto col patrimonio di storie e leggende tramandate nel paese, e mentre stende la tesi approfondisce la conoscenza della storia della Sardegna.
Il contrasto si fa duro anche a scuola, dove Careluna ha occasione di lavorare temporaneamente se pure non ancora laureata, come capitava allora. Non solo i metodi degli insegnanti più giovani si scontrano con quelli rigidi e autoritari degli anziani, ma nascono discussioni anche sull’opportunità o meno di guidare gli alunni alla scoperta del patrimonio culturale locale, come pure di fare spazio alla lingua sarda.
In passi come questi si tocca il tema di fondo del libro: che prende, sì, spunto da come il Sessantotto si manifestava nei centri maggiori, sedi delle università più avanzate, ma ci conduce poi a vedere quali potevano essere le ripercussioni in un piccolo centro di periferia; dove le esigenze dello svecchiamento venivano inevitabilmente a scontrarsi e a complicarsi nel contatto con quel groppo di esigenze e aspirazioni che oggi classifichiamo come sentimento dell’identità.
Ed è proprio questo sentimento ad affiorare gradatamente e, in tanto tumultuare di pensieri e di rivendicazioni, a prendere alla fine il sopravvento: significativamente la storia non si chiude con la discussione della tesi ma con la morte della nonna, vista come matriarca del nucleo famigliare e della comunità paesana ma anche come dea madre della civiltà millenaria dell’isola: «Vi vedo all’ombra dell’olmo in estate, tra le mani il fuso e la conocchia… vi sento cullare i più piccini… vi sento raccontare le storie… vi sento dire basta con le liti: la salute, la concordia e la pace sono i beni più preziosi…».
Salvatore Tola
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Nota della casa editrice
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oltre che una scritto intimistico, è una testimonianza cosciente e coscienziosa, ricavato da un background sociale remoto, quale poteva essere quello della Sardegna interna degli Anni ’60.Un background che è anche luogo geografico amato, idealizzato, dove è nata la protagonista di questa storia, suo malgrado costretto a confrontarsi e a scontrarsi con l’universo esterno, tumultuoso e spersonalizzante per eccellenza, rappresentato da un anno e da un’epoca che hanno saputo cambiare il mondo.Davanti a un tale sconvolgimento di tutti gli schemi e delle convenzioni conosciute, capire cosa riserverà il futuro, non sarà compito facile per nessuno, ma alla studentessa universitaria, emigrata a Roma, carica di dubbi, di sogni e di speranze, non basterà neppure immergersi nella lettura di Gramsci, di Marcuse, di Mao, di Aldo Capitini, il pacifista, per trovare conforto. La giovane donna sarà invece quasi costretta a fermarsi, voltarsi proprio verso quel privato passato agro-pastorale di provenienza, persino studiarlo con maggiore convinzione nella sua ritrovata qualità di colonna portante, saggia, diversa, ma ancora in grado di restituire un senso alle cose. Da tutte queste considerazioni, si capisce come la protagonista di una anno molto significativo come il 1968, tragga delle conclusioni che trasferisce in questa sua splendida opera, che ci aiuterà a capire, tutto quello che ne è derivato in questi cinquanta anni di storia italiana.
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