Decine di milioni di operai, di lavoratori, di disoccupati, di donne del popolo, hanno negato il loro consenso ai tradizionali e corrotti partiti che hanno guidato i governi negli ultimi decenni. Molti di loro, privi di una coscienza di classe e delusi dalla sinistra borghese, si sono affidati ai partiti populisti e xenofobi, illudendosi in questo modo di cambiare e di salvaguardare i propri interessi.
Spetterà agli sviluppi della lotta di classe e al lavoro dei comunisti fargli cambiare posizione. Dalle urne è uscito un multipolarismo su base territoriale, che riflette le disuguaglianze e la disgregazione dell’Italia borghese, amplificate dal rullo compressore neoliberista, dalla lunga stagnazione e dalla politica di austerità. Nessuna forza politica ha la maggioranza assoluta in Parlamento. La difficoltà di formare un governo diretto dai portavoce dell’oligarchia finanziaria, sostenuto da un blocco coeso, evidenzia la crisi di egemonia della borghesia italiana e il processo di differenziazione e radicalizzazione politica della piccola borghesia.
La coalizione di destra ha ottenuto il 37%, ma non ha i numeri per governare. Al suo interno si sono ribaltati gli equilibri, con l’avanzata della Lega che ha preso circa 5,5 milioni di voti (circa 4 milioni in più rispetto le precedenti elezioni politiche) giungendo al 17,5%, e con la caduta del partito di Berlusconi, giunto al suo minimo storico. La destra si caratterizza sempre di più in senso razzista, xenofobo e sciovinista. I settori più aggressivi del capitale monopolistico cercheranno di puntare su questa coalizione, aggregandovi altre forze, per risolvere il problema del governo e sviluppare l’offensiva contro il movimento operaio e sindacale.
La lista del M5S ha raccolto alla Camera più di 10 milioni di consensi, pari al 32,2% dei voti validi, confermandosi il primo partito politico. E’ stata appoggiata in massa nel Meridione e ha raccolto buona parte della valanga di voti in libera uscita dal PD. Il M5S è ora il nuovo baricentro dei giochi parlamentari, ma non ha alleati e non può governare da solo.
Questo movimento di tipo populista e interclassista è un contenitore politico del malcontento. Si presenta come forza di rottura col sistema, ma è totalmente incapace di condurre una lotta organizzata contro il regime borghese, e perciò non potrà risolvere nessuno dei fondamentali problemi economici, sociali e politici. I suoi capi sono pronti a ulteriori calate di braghe e a scelte antipopolari pur di arrivare a Palazzo Chigi.
Il PD ha subito una disfatta politica raccogliendo solo il 18,7% dei voti validi (ha perso quasi 2,8 milioni di voti dalle scorse elezioni politiche). Le sue basi regionali sono disarticolate e ridotte ai minimi termini. Questo partito ha svolto negli ultimi anni la funzione di principale puntello politico del capitale finanziario. Con Renzi ha imposto leggi antioperaie e antipopolari come il Jobs Act e la controriforma della scuola, ha cercato di stravolgere la Costituzione democratico-borghese, ha sostenuto la politica di guerra imperialista.
Prima col referendum e poi col voto del 4 marzo, lavoratori, i giovani, hanno punito questo partito liberal-riformista e licenziato il suo arrogante capo. Per la grande borghesia si apre un problema serio, perché non ha un altro grande partito affidabile su cui appoggiarsi. Alcuni settori spingono per un’alleanza del PD con il M5S, per superare lo stallo. Le dimissioni ritardate di Renzi servono a impedire questa opzione e favoriscono le destre.
I socialdemocratici, gli opportunisti e i revisionisti, investiti dalla slavina del PD, hanno fatto fiasco in tutti i loro progetti elettoralistici. “Liberi e Uguali”, con la sua mediocrità politica non ha avuto alcuna attrattiva su operai e giovani. Il tentativo di rilancio della burocrazia politica e sindacale socialdemocratica di destra è fallito, ma non è detto che i pochi deputati eletti non possano essere utilizzati per un governo di “emergenza”.
Il punto percentuale preso dell’eclettica coalizione radicale di “Potere al popolo!” è l’ennesima dimostrazione che non si può costruire un’alternativa popolare di sinistra sulle illusioni elettorali e parlamentari, senza la direzione della classe operaia, ma con liste zeppe di riciclati. Lo scarno risultato raccolto dal partito di Rizzo ci dice che non bastano i simboli e la propaganda senza contenuti politici rivoluzionari per uscire dalla sconfitta transitoria del socialismo e risalire la china.
Con il risultato elettorale si apre un nuovo capitolo della crisi politica e istituzionale italiana. La sconfitta di Renzi e l’indebolimento di Berlusconi hanno fatto naufragare il progetto neo-centrista che puntava a un governo di “larghe intese” sostenuto dalla Troika. La crisi italiana è così profonda, si è talmente spezzata la coesione fra le classi possidenti, da rendere oggi impossibile un “governo borghese di classe” con un programma omogeneo, capace di rinsaldare il blocco dominante ed egemonizzare i ceti medi.
Nelle prossime settimane verranno a galla le contraddizioni dei partiti borghesi e piccolo borghesi. Vedremo manovre, coltellate alla schiena, trasformismi, ingerenze dei “mercati finanziari” e delle potenze straniere (UE, USA, Vaticano) nella vita politica italiana. Si cercherà con ogni mezzo di favorire la formazione di un governo antipopolare ed europeista che prosegua lo smantellamento delle conquiste e dei diritti dei lavoratori, le controriforme istituzionali, la politica di guerra.
Ci attende un periodo in cui l’attacco capitalista sarà ancor più duro e i conflitti di classe assumeranno un carattere più aperto e aspro. In questa situazione guai a lasciarsi paralizzare dai riformisti, che continueranno a fare di tutto per frenare e dividere le lotte, bloccare l’iniziativa delle masse attraverso la burocrazia sindacale. Urge l’unità di lotta di tutte le forze del proletariato e, sulla sua base, la più ampia unità popolare contro l’offensiva capitalista, la reazione politica e le minacce di guerra, per far pagare i capitalisti e i parassiti, per rompere definitivamente col neoliberismo e il sistema che lo produce.
La condizione essenziale per spezzare il potere dei monopoli e dei ricchi è la formazione di un’ampia coalizione di tutte sezioni della classe lavoratrice, imperniata sulla classe operaia. Una forza determinata a farla finita col capitalismo attraverso la mobilitazione e la formazione di organismi di massa (Consigli, Comitati, Assemblee, etc.) in opposizione al Parlamento borghese, per schiudere la via alla sola alternativa possibile e necessaria: un Governo degli operai e degli altri lavoratori sfruttati.
Per avanzare in questa prospettiva rivoluzionaria, i comunisti e gli elementi di avanguardia del proletariato devono separarsi nettamente e definitivamente dagli opportunisti di ogni tipo e unirsi in un Partito politico indipendente e rivoluzionario del proletariato, contrapposto a tutti i partiti e le formazioni politiche delle classi sfruttatrici.
Un Partito che abbia un’ideologia, il marxismo-leninismo, un programma, una politica completamente autonomi da quelli della borghesia e della piccola borghesia, per divenire il dirigente di tutte le masse sfruttate e oppresse nella rivoluzione. Un Partito che abbia ben chiaro il fine della conquista del potere politico, dell’instaurazione della dittatura del proletariato e della costruzione del socialismo e del comunismo, che colleghi questi scopi alla sua azione politica quotidiana.
E’ ora di compiere passi risoluti in questa direzione, approfittando dell’instabilità politica e dell’ingovernabilità per sviluppare l’organizzazione e l’iniziativa politica comunista. Non facciamoci trovare impreparati, la crisi della borghesia procede e gli avvenimenti incalzano. La battaglia si svolgerà e si vincerà fuori dalle aule parlamentari, nel mare agitato della lotta di classe.