Caro Direttore, il Suo editoriale di ieri ha il pregio dell’ onestà intellettuale: nei momenti salienti della vita pubblica occorre avere il coraggio e la lucidità di chiamare le cose con il loro nome. Il centro -destra ha certamente vinto le elezioni (come coalizione politica); il Movimento 5 Stelle ha conseguito il primato fra i partiti. Il Pd ha perso per strada 5 milioni di voti e per la seconda volta nel giro di un anno il suo segretario si è dimesso.
I numeri per dare un governo al Paese sono complicatissimi. Dentro questo quadro, qualcuno dovrà pur dire qualcosa del risultato di Forza Italia: doppiata – quando è andata bene – nel nord produttivo del Paese dalla Lega, ridotta sotto il 10 per cento nelle ex regioni rosse, superata nella capitale (sì, proprio nella capitale!) da un Salvini che personalmente apprezzo – in grande crescita di voti e surclassata dal Movimento 5 stelle nelle zone un tempo granaio di voti azzurri, dalla Sicilia alla Puglia, dalla Campania alla Calabria.
E questo nonostante la straordinaria generosità di Silvio Berlusconi che si è messo a disposizione ancora una volta del partito con corpo e anima. Questa disponibilità è stata però male utilizzata e più che per raccogliere consensi, rinnovare l’ offerta politica, rilanciare il brand liberale è stata sfruttata e spremuta per tutelare una nomenclatura non si capisce legittimata da cosa. Bastava scorrere le liste per capire che le opportunità – diciamo così – offerte dal Rosatellum erano state utilizzate per blindare chi doveva essere blindato, con un fiorire di multicandidature che hanno dato l’ idea plastica di un partito arroccato a difendere posizioni nell’ ultima battaglia, piuttosto che per costruire un futuro di apertura e contendibilità.
Senza alcuna gestione delle candidature uninominali (nella convinzione forse che l’ unica cosa che contava era moltiplicare per se stessi quelle proporzionali), lasciate nelle mani dei cacicchi locali, veri e propri nani da giardino come ha scritto bene lei ieri, con riferimento alla scarsa statura culturale e politica degli stessi: con il risultato che avremo parlamentari per caso, diventati tali quasi a loro insaputa. Tutto ciò nel silenzio assordante di un partito che sui territori non esiste quasi più. Per non dire degli errori di comunicazione con la riduzione di un leader storico, di una icona nazional popolare, dell’ uomo che ha rivoluzionato il modo di fare impresa e quello di fare politica, a figuri na televisiva, peraltro lanciato con eccessivo anticipo all’ inseguimento delle battaglie della Lega.
Ora la domanda che una classe dirigente seria si dovrebbe porre è: che ne sarà di questo partito? Nella even tualità, certo non remota, che si debba tornare rapidamente a votare, chi fermerà la doppia emorragia (a nord verso la Lega, a sud verso Grillo)? Possiamo solo star certi che, ove fossimo chiamati nel breve volgere di qualche mese, a nuove elezioni con la stessa legge elettorale (cui Forza Italia non ha neppure voluto, con la solita lungimiranza, accettare l’ idea di inserire un premio per il quale solo La Russa si è sgolato) le multicandidature nelle liste dei soliti e delle solite note sarebbero inversamente proporzionali ai voti nelle urne.
Ora che si apre una fase delicatissima – per l’Italia prima di tutto – è impensabile immaginare che questa fase sia gestita dai soliti personaggi, da chi si preoccupa più di assicurarsi la poltrona da ministro che degli interessi del Paese e del Partito. Ma se qualcuno pensa di gestire questa fase come ha gestito le liste, avrà delle sorprese. E non saranno positive.
Antonio Angelucci, Deputato di Forza Italia
Fonte: www.affaritaliani.it