Non approvano la legge che vieta ai mafiosi di fare propaganda. E l’antimafia è retorica. “Perché don Ciotti non parla del sindaco di Locri che gli ha dato…”
Chi nel 2001 sosteneva vi fosse la mafia dietro la “tombola” del centro destra vittorioso in tutti i collegi in Sicilia oggi dice il contrario sull’en plein alle politiche dei 5 Stelle nella stessa regione. Quindi o la mafia in Sicilia non esiste più o non controlla i voti in regione o gli esperti del settore si muovono in superficie usando il tema per rappresaglie politiche contro la parte avversa che cambia volta per volta.
Il tema mafie è sparito dai radar in campagna elettorale anche se il voto singolo nei quartieri di Palermo si vendeva a 25 euro l’uno, non diversamente da alcune area della Campania. La criminalità organizzata è ormai un fattore liquido, essenziale per le nostre società. Ma ‘ndrangheta, mafia, camorra, sacra corona sono nomi arcaici poco cifrabili, innestati in panorami nuovi fatti di poteri locali, distanti anni luce da quelli che vediamo nella realtà, tra potentati economico-finanziari, affari di Stato e intrecci sovranazionali.
“Come non capire che le mafie in campagna elettorale fanno il porta a porta?”, racconta l’ex giudice di Cassazione Romano De Grazia, calabrese, cattolico, ottantadue anni, che ha dedicato anni a cercare di stroncare lo scambio politico mafioso. “I voti sono arrivati a singoli candidati in ogni lista che possano svolgere ruoli di suggeritori dei leader di primo piano. La mafia vuole un silenzio assordante”, ripete. Ad ogni tornata il crimine organizzato rifornisce voti in cambio di favori e si presenta da chi comanda: ieri gli uni, oggi gli altri.
E’ trasversale e va dove stanno i luoghi decisionali, “muovendo con altre sembianze ingenti capitali che ai politici mancano. E’ così che oggi si hanno rapporti con i governi, non con la coppola o con le pantomime tipo il bacio di Riina. Se volete cercare la mafia sapete dove trovarla”, spiega De Grazia. Il giudice a sue spese si aggira per l’Italia per far conoscere una legge, la Lazzati, abbracciata dai massimi giuristi italiani, come Cesare Ruperto, Vittorio Grevi e Federico Stella o da molti magistrati della Cassazione, e che vieta ai sorvegliati speciali per mafia di svolgere attività di propaganda elettorale. Attività da sempre consentita in Italia. “Ad ogni campagna elettorale qualche forza politica abbraccia il mio provvedimento come bandiera per poi abbandonarlo quando si va al dunque. Si fa un gran parlare di antimafia ma sono attività di parata che muovono milioni di euro e molto poco sotto il profilo della concretezza”, spiega il giudice.
Per paradosso la legge Lazzati è stata già approvata ma in una versione manipolata e volutamente mutilata tradendone i principi. Il divieto di propaganda è stato trasformato in divieto di affissione e distribuzione di “santini”. Il mafioso può sovvenzionare campagne elettorali o finanziare liste e tanto altro, ma non dare “santini”. Ridicolo. Nessuno si occupa di modificarla e allora De Grazia gira l’Italia presentandola alle scuole o alle associazioni per “costruire un moto di ribellione contro questo scempio”.
De Grazia: “A nulla serve la retorica dei don Ciotti che anche ieri ha celebrato la giornata della memoria a Vibo Valentia (Libera, l’associazione presieduta da don Luigi Ciotti ha indetto, per la manifestazione della memoria che si tiene ogni 21 marzo e che quest’anno è a Foggia, un presidio simbolico in ogni regione, ndr). I calabresi hanno bisogno di antimafia concreta, non di sfilate”. E ancora: “Lui, Saviano, De Magistris potrebbero candidarsi a fare i sindaci di Corleone, Limbadi, Casal di Principe, per non lasciare soli i cittadini per bene di quei Comuni. E così che si fa antimafia, non a parole! Io ottantenne, per puro spirito di servizio, mi sono candidato a Platì in Calabria per fare un’azione concreta.
Oppure con il loro peso pubblico facessero pressione per approvare la Lazzati in parlamento! Siamo al paradosso, alle pure attività di parata”, dice arrabbiato. E racconta come qualche giorno fa don Luigi Ciotti abbia ricevuto la cittadinanza onoraria del Comune di Locri dal sindaco Giovanni Calabrese (guarda il link.) “Ma il sindaco (non è indagato, ndr), come risulta dall’inchiesta ‘Mandamento Jonico’, sarebbe stato votato dal clan dei Cordì e dei Cataldo (guarda il link). Perché in queste terre la ‘ndrangheta vota per la maggioranza e per le opposizioni ed ha anche suoi candidati. Se continuano queste pagliacciate scriverò a Famiglia Cristiana e al Vaticano, come ho già fatto in passato, per spiegare i danni di questa retorica inutile”.
Per la ‘nrdrangheta in Calabria tutto è possibile. A Locri i clan sono così pervasivi da costruire addirittura il tribunale.
Fonte: www.affaritaliani.it