Abbandonati i toni rivoluzionari, il M5S mira a fagocitare il Pd diventando un partito-supermarket che piaccia a moderati e Vaticano. Come la DC
L’esito delle elezioni del 4 marzo e la difficoltosa strada lastricata di pessime intenzioni per formare un nuovo governo, o una sua pallida ombra, ha evidenziato in tutta la sua chiarezza un elemento che aveva baluginato di tanto in tanto durante la campagna elettorale. La progressiva istituzionalizzazione del Movimento Cinque Stelle.
Luigi Di Maio, grisaglia e sorriso plastico d’ordinanza, si era qualche mese fa affrettato a far visita a investitori stranieri – i tanto bistrattati investitori stranieri oggetto di ogni improperio grillino fino a quel momento – per rassicurarli delle buone intenzioni del Movimento; si era premurato di far sapere all’Europa di aver abbandonato ogni sogno rivoluzionario di voler uscire dall’Euro (malgrado anni di propaganda sull’infattibile referendum costituzionale per il quale i solerti attivisti avevano raccolto firme); si era impegnato ad accettare nelle file del m5s e come candidati alcuni personaggi della cosiddetta “società civile” non militanti nel Movimento (evento che fino a poco prima era giudicato impensabile).
Ma la istituzionalizzazione di Di Maio si è resa evidente all’alba del 5 marzo quando, dati elettorali alla mano, accertatosi di non avere i numeri per un monocolore grillino aveva subito teso la mano alla più impensabile delle forze politiche, il Pd, nemico acerrimo fino a un minuto prima, padre di tutti i mali del mondo, sentina di ogni immonda nefandezza umana e istituzionale come l’avevano sempre descritta vertici, eletti ed elettori del m5s.
Il Pd sconfitto e lacerato da divisioni interne, da quel momento in avanti è stato invitato da più parti ad accettare l’offerta grillina, un’offerta/cavallo di Troia che al suo interno cela un’insidia la cui natura non tutti hanno colto.
Il m5s mira infatti a diventare la nuova Democrazia Cristiana, una sorta di partito-supermarket nel quale lasciar convivere allegramente diverse correnti tenute insieme dal collante del potere e delle spartizioni di poltrone. Il m5s vuol dunque trasformarsi in quel “partito della Nazione” che aspiravano a costruire Matteo Renzi e Silvio Berlusconi e che il risultato del 4 marzo ha impedito. Per questo il Cavaliere, di cui tutto si può dire tranne che sia sprovveduto, vede come la peste ogni vicinanza con il m5s.
Se quest’ultimo si era presentato come forza politica né di destra né di sinistra e post-ideologica, ora vuole fagocitare un Pd allo stremo per diventare un partito più tradizionale che mai, accontentando Europa e anche le gerarchie ecclesiastiche, le cui aperture verso il nuovo corso grillino sono ormai palesi. Inglobando il Pd, neutralizzandolo e assorbendolo, il m5s diventerebbe quel partito supermercato che era la Democrazia Cristiana, pervasa da istanze diverse e spesso opposte ma allegramente conviventi in nome del potere, rassicurando così mercati esteri, Unione Europea e non ultimi i “poteri forti”, gli ex nemici pubblici numero uno del Movimento.
E’ ancora un mistero se questo “trasformismo” del m5s fosse in realtà voluto fin dall’inizio, e se il m5s in realtà sia la creazione più geniale del Sistema per raccogliere pericolosi moti di protesta, contenere quest’ultima, trasformarla in consensi elettorali e convogliarli in una finta forza rivoluzionaria che si sta rivelando più realista del re. Ma senz’altro, e lo si vede in questi giorni, Luigi Di Maio (o chi lo manovra dall’alto) sta dando prova di una politica più scudocrociata che mai e che potrebbe rivelarsi più incisiva, e quindi duratura, del previsto. Moriremo DiMaiocristiani?
Di Marco Zonetti
Fonte: www.affaritaliani.it