La generosità, per Aristotele, era una nobile misura al centro tra avarizia e avidità.
Ma difficilmente puoi rendere giustizia a questa virtù se la descrivi semplicemente come un punto tra due estremi negativi.
La generosità è contegno, espressione distinta e seria, un tratto caratteristico, un atteggiamento di vita che non ha solo a che fare con lo stile che coltivi, quanti soldi spendi o se ti concedi qualche lusso che auguri anche agli altri. La generosità è anche dimostrata dal fatto che uno sorvola sui piccoli difetti e debolezze, il non arrabbiarsi per quisquilie, futilità, dar tempo al tempo insomma.
Questo non vuole essere un’arringa, un appello all’inesattezza, alla stupidità, al relativismo. Essere generosi non significa proprio che non ti interessi minimamente di quanto gli altri potrebbero fare. Al contrario: il generoso sa perfettamente cosa è importante per lui, ciò che conta per lui.
Ecco perché può semplicemente ignorare le cose secondarie, il non essenziale.
Non è un pedante che prende tutto sul serio. E questo, spesso, per incertezza, per incapacità di distinguere, di valutare.
I generosi hanno la capacità di sorvolare generosamente la banalità, e questo richiede che si possa immedesimare nelle altre persone e capire perché si sono fatti errori o perché le cose, talvolta, prendono un’altra piega o via diversa dal previsto.
La generosità presuppone quindi una certa flessibilità mentale. Ed ecco perché le persone generose le riscopriamo in politica –specialmente attivi in campagna elettorale – ed esse sono di solito fantasiose, simpatiche e anche piacevoli da affrontare.
E non perché pagano puntuali tutte le bollette, ma semplicemente non stanno li a perdere tempo con particolari complessi e complicati come l’occupazione, la formazione, giovani, abolizione privilegi, debito pubblico o altro, poiché questo, per loro, è tempo sprecato. Attenti osservatori vedono sorgere, oggi, una nuova generosità.
Dopo decenni di smodata e biasimevole avidità, sempre più persone, in politica, si rendono conto di quanto renda felice dare agli altri il proprio tempo, attenzioni e esperienze e ancor più il pubblico denaro. La società dell’egoismo ha abdicato, la Sharing-Idea, la distribuzione, la condivisione è più importante, perché così le persone possono vedere, vivere come la generosità renda davvero ricchi.
La generosità, quindi, può essere quella di accettare la benevolenza di un altro senza sentire il minimo imbarazzo. Dopo tutto, la generosità non è mediocrità e non è un equilibrio tra avarizia e spreco , ma un segno di libertà.
E noi sardi, anzi, noi italiani siamo il modello, i campioni di libertà. Ebbene si, vogliamo chiamare senza altri giri di parole le cose come stanno. Tu mi voti e poi io ti do un contributo, uno stipendio, un premio.
Le promesse fatte in campagna elettorale – in particolar modo dai pentastellati – sono un fantastico segno di generosità, a carico della comunità che altro non è che un gigantesco voto di scambio su scala nazionale. Per chi nutrisse qualche dubbio basta si guardi attorno perché se c’è qualcuno che promette, per forza di logica ci deve essere qualcun altro che pretende che tale promessa venga mantenuta. A prescindere dal fatto che sia possibile mantenerla, anche se tutti sapevano da subito che la promessa fatta non sarebbe potuta essere mantenuta.
E quando questo qualcun altro è il popolo, se la promessa è quella di un fumoso quanto mutaforma reddito di cittadinanza, tutti in coda, logicamente, battono cassa. Hanno messo una x su una scheda che prometteva di essere come il biglietto vincente della lotteria.
Con quella x hanno voluto realizzare il sogno nascosto di una vita: avere uno stipendio anche senza fare un tubo, senza dover far altro che provare a fare qualcosa, far vedere di fare qualcosa basta e avanza, perchè in questa strana campagna elettorale i primi a non voler muovere un dito per spiegare il cosa e il come è stato proprio chi prometteva. Adesso però a prescindere da tutto, il popolo si è svegliato e anche piuttosto arrabbiato.
Vogliono riscuotere l’assegno promesso da Di Maio e lavorare, o perlomeno intanto incassare, poi si vedrà. Ogni promessa è debito e uno più uno meno cosa vuoi che cambi per il cittadino? E se è vero che ogni promessa è debito, Di Maio è adesso moroso e dove trovare quindici miliardi di euro per attuare non si sa come questa manovra.
Tale è la mostruosa cifra che costerebbe questa generosa elargizione che seguirà il modello Francese a quanto post elezioni sembra emergere dalle dichiarazioni. Questa è una delle tante generosità che se l’operazione “governo Di Maio” dovesse andare in porto, verrebbero a pesare sui già disastrati conti dello Stato. Ma questo è un altro discorso. Siamo di fronte a una crisi di sistema pero non emerge con chiarezza un’alternativa, una via d’uscita.
Si sa che la campagna elettorale è stata impostata per costruire sogni, suggestioni, ha fatto tante promesse anche esagerate. Ma non si propaga l’irreale. Non si raccontano balle cosi spudoratamente. Aiutare chi è rimasto indietro è doveroso, come anche rispettarli. Prenderli per i fondelli è semplicemente una carognata.
Pietro Casula