Si è concluso ad Asuni il più importante focus mai realizzato in Italia sulla cinematografia colombiana. Marco Antonio Pani: è stato un successo che ripaga dell’impegno di tutti
Sono state due settimane indimenticabili per chi le ha vissute, due settimane che hanno tracciato il più importante focus mai visto in un festival in Italia sulla cinematografia colombiana, segnando un legame profondo tra la Sardegna e il paese sudamericano, che resterà vivo per lungo tempo.
L’edizione numero XI del “terre di confine filmfestival” è stata archiviata domenica ad Asuni con un bilancio che ripaga ampiamente il grande impegno messo in campo dagli organizzatori, per una kermesse già affermata che continua a macinare un successo dietro l’altro. Il festival è stato seguito con continuità nelle diverse tappe tra i comuni di Oristano, Cagliari e Sassari, e in particolare a Solarussa e Asuni.
«La scommessa di quest’anno è stata quella di fare un programma molto intenso con tanti appuntamenti variegati che comprendessero sia proiezioni che incontri sul cinema, dando agli spettatori una miriade di possibilità di scelta – ha spiegato Marco Antonio Pani, al debutto come direttore artistico –. Il timore era che questo avrebbe potuto creare degli spazi vuoti, ma il pubblico ci ha dato ragione rispondendo sempre molto bene. Siamo molto soddisfatti».
Tra gli appuntamenti di maggior successo, quello con gli ospiti Carlos Tribiño, regista di “El silencio del rio”, e con Jaime Manrique, direttore del festival “Bogoshorts” di Bogotà e più importante distributore di cortometraggi in Colombia.
Ospite d’onore delle giornate asunesi è stato il noto regista Felipe Aljure, che ha presentato per la prima volta in Italia il suo capolavoro “Tres escapularios”.
Aljure, promotore della Legge cinema del suo Paese, ha evidenziato le similitudini culturali tra Colombia e Sardegna, sottolineando l’importanza di avere una normativa adeguata sul cinema per dare slancio al settore e avere una voce cinematografica autonoma, fondamentale per porre un argine al colonialismo culturale.
«L’auspicio per il futuro è che il “terre di confine” possa crescere ancora di più senza cambiare lo stile – ha affermato Pani – uno stile che non pretende di creare un evento gigantesco e pieno di glamour, ma di portare invece il cinema sardo e quello poco conosciuto di altre “terre di confine”, come la Colombia, con i loro protagonisti, a contatto con il pubblico, invitandolo a spostarsi in piccole comunità della Sardegna come Asuni e Solarussa, dove il festival si svolge, per vedere del buon cinema ma anche per scoprire dei territori bellissimi, con la loro gente e con le loro specificità artistiche, naturalistiche, archeologiche, culturali e gastronomiche. Un luogo di incontro che avvicini le culture e le persone nel nome del cinema».