In questi giorni su fa un gran parlare della ipotesi di soppressione del servizio di vigilanza armata nelle ex Guardie Mediche.
In questi giorni su fa un gran parlare della ipotesi di soppressione del servizio di vigilanza armata nelle ex Guardie Mediche.
Ricordiamo che il servizio è nato dalla esigenza di garantire l’incolumità personale dei medici, soprattutto donne, impegnati in quella che sino a ieri veniva chiamata “guardia medica” (oggi “postazioni di continuità assistenziale).
Ricordiamo anche che tutelare l’incolumità del medico significa anche assicurare l’erogazione di un servizio sanitario territoriale nelle ore in cui l’assistenza a chi soffre è maggiormente critica.
Per questa ragione, contestiamo un approccio al problema eminentemente economico e finanziario e, alla domanda se si debba mantenere o meno un servizio, rifiutiamo di farci guidare dalla bussola del risparmio, un po’ come ha fatto in questi giorni l’assessorato alla sanità giustificando l’ipotesi di soppressione della guardiania armata (infelice viatico verso una successiva soppressione anche delle postazioni di Guardia Medica) nella misura in cui il bilancio regionale non sarebbe in grado attualmente di coprire il costo di un servizio ritenuto “non LEA” (ossia non essenziale)
Ma anche seguendo per un istante la teorizzazione assessoriale siamo proprio sicuri che le casse sanitarie non sono in grado di reperire qualche milione di euro (circa 10) per far fronte al servizio di guardia armata?
Temo che non si sia neppure provato a reperire le risorse perché sarebbe bastato gettare uno sguardo fugace all’interrogazione n. 1403 del 22 febbraio 2018 (primo firmatario Augusto Cherchi) per rendersi conto che un approccio maggiormente etico a certe patologie genera anche risparmi importanti.
Secondo lo studio “Contro il diabete gioco d’anticipo”, realizzato dal gruppo di ricerca Ceis- EEHTA (Centre for Economic Evaluation and HTA) dell’Università di Roma Tor Vergata, il servizio sanitario della Sardegna potrebbe risparmiare fino a 25 milioni di euro con una migliore diagnosi, monitoraggio e cura della malattia, tali da poter impedire o ritardare le complicanze da diabete come ipertensione, insufficienza renale e disturbi agli occhi raddoppiando gli esami dell’emoglobina glicata e potenziando il monitoraggio di altri parametri come il colesterolo.
Precauzioni che consentirebbero una riduzione delle complicanze da diabete come ipertensione, insufficienza renale e disturbi agli occhi. Lo studio evidenzia anche come oltre il 50% dei circa 85mila diabetici dell’Isola sia affetto da almeno altre due o tre patologie associate che contribuiscono ad aggravare il costo socio-sanitario della malattia: se, infatti, i pazienti ‘solo’ diabetici (circa il 13%) generano il 4% della spesa complessiva, quelli con un’altra patologia (circa il 35%) impattano sui costi per oltre il 20%, con più di due (circa il 51%) si arriva al 73%. A tutto ciò si aggiungono gli oltre 325 milioni di costi indiretti causati dalla perdita di produttività per assenza da lavoro e pensionamento anticipato.
Un diabetico costa in media oltre 2.300 euro all’anno per ricoveri, visite specialistiche e farmaci: si passa da 340 euro per la cura del solo diabete a 2.500 in presenza di almeno due patologie.
E allora, anziché fare spallucce rispetto alle proposte che arrivano dalle forze politiche consiliari, bene farebbero i sacerdoti dell’ortodossia economica sanitaria ad approcciarsi ai temi che riguardano la salute in una maniera eticamente più appropriata. Si renderebbero conto che ne trarrebbero un gran beneficio sia i pazienti che i conti della sanità pubblica.
Gianfranco Congiu, Capogruppo del Partito dei Sardi in Consiglio regionale