Il fascino dell’ironia – per una divertente e spietata analisi degli usi mondani e dell’ipocrisia della società – con “Il Misantropo di Molière – Una commedia sulla tragedia di vivere insieme” de Il Mulino di Amleto, moderna e raffinata rilettura di un capolavoro della storia del teatro con traduzione, adattamento e regia di Marco Lorenzi, in tournée nell’Isola sotto le insegne del CeDAC per la Stagione di Prosa 2017-18 nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna.
La pièce incentrata sulla figura di Alceste e sul suo «sforzo intransigente di andare oltre l’apparenza», sottraendosi al quotidiano gioco delle maschere in cui ciascuno inganna o viene ingannato, a costo di rifugiarsi in una sofferta solitudine, debutterà in prima regionale DOMANI (martedì 20 marzo) alle 21 al Teatro Comunale Nelson Mandela di Santa Teresa Gallura, per approdare mercoledì 21 marzo alle 21 al Teatro Civico Oriana Fallaci di Ozieri e infine giovedì 22 marzo alle 21 – al Teatro Comunale di San Gavino Monreale per un interessante viaggio nei labirinti della mente e del cuore – tra finzione e realtà.
Sotto i riflettori un affiatato cast: Fabio Bisogni, Roberta Calia, Yuri D’Agostino, lo stesso Marco Lorenzi, Federico Manfredi, Barbara Mazzi e Raffaele Musella prestano volto e voce ai personaggi della celebre commedia di Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière, con visual concept di Eleonora Diana e consulenza per i costumi di Valentina Menegatti, per una mise en scène rigorosa ed essenziale – firmata da una delle più interessanti e apprezzate compagnie della scena contemporanea – che mette in risalto il perfetto meccanismo teatrale di un’opera emblematica sulle relazioni umane, sull’amore e sulla ricerca della verità.
Focus sul «rapporto costante tra l’Io e la comunità sociale con cui ci si relaziona ogni giorno» e sulla necessità di confrontarsi con gli altri con la pièce che pone l’accento sul sottile confine tra sincera ammirazione e adulazione, sul naturale desiderio di veder riconosciuti i propri meriti e il timore dello scherzo e dello scherno, attraverso lo sguardo di Alceste, il “misantropo” per eccellenza (ovvero “l’Atrabilaire amoureux”) incapace di dissimulazioni e dunque quasi costretto ad un volontario isolamento lontano dalla civiltà.
“Il Misantropo di Molière” nella versione de Il Mulino di Amleto e Tedacà – in collaborazione con La Corte Ospitale mostra l’ambiguità dei comportamenti e l’eterno dilemma tra una onestà assoluta a rischio di ferire l’interlocutore con considerazioni e commenti “troppo” schietti e la volontà di ammorbidire i toni e smussare gli angoli, tenendo conto della fragilità altrui – che però significa, come sottolinea il protagonista, mentire a sé stessi e agli altri, sia pure per bonomia e senza malizia.
In quel mistificare – per gentilezza o semplice buona educazione – e attenuare la crudeltà di un giudizio Alceste riconosce il seme della menzogna per lui intollerabile dato il rigore delle sue convinzioni, con un’unica deroga che riguarda l’amore per Celimene, bellissima e spregiudicata vedova con la quale intrattiene un’affettuosa amicizia fondata sulla reciproca stima e su una fatale attrazione.
Inflessibile nei suoi principi, l'(anti)eroe della storia rivela quindi una sua debolezza nella tenera inclinazione verso una donna avvenente e affascinante, dallo spirito vivace ma a sua volta prigioniera, a causa della sua posizione sociale, di quegli stessi ingranaggi ch’ella muove con grazia per ottenere favori e privilegi dai suoi altolocati pretendenti, duenque vittima e carnefice delle consuete schermaglie galanti.
Se il protagonista spera di sottrarre l’amata ai riti e alle usanze del bel mondo, conducendola con sé nel suo rifugio egli stesso non sfugge alle mire delle dame virtuose e benintenzionate, in una vorticosa giostra delle passioni a conferma del fatto che che – come diceva il filosofo Blaise Pascal – «il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce»
. Molière dipinge un vivido affresco della società, mettendo a nudo le intime contraddizioni e le insopprimibili esigenze di uomini e donne – dall’ambizione alla semplice vanità, dalla paura di fallire all’arroganza, dal moralismo alla trasgressione, dal riserbo all’indiscrezione.
L’ideale cui tende Alceste è forse irraggiungibile, ma egli non sa né intende piegarsi ai compromessi – sostenendo fino alla fine le proprie motivazioni, con estrema coerenza, pronto a pagarne il prezzo e perfino a sottomettersi all’ingiustizia, a ulteriore riprova della corruzione e del degrado della sua epoca. Incarnazione secentesca di un archetipo della commedia – il padre burbero del “Dyscolos” di Menandro – il “Misantropo” di Molière rappresenta a suo modo un ribelle, un “eremita” per scelta, la cui rudezza di modi deriva più dalla volontà di giungere all’essenza delle cose, invece di fermarsi alla superficie, che da grossolanità o insensibilità. Il suo sogno di reinventare il mondo a propria misura – se non proprio a sua immagine e somiglianza – s’infrange davanti alla complessità degli individui, dall’impossibilità di ridurre il mondo ad unica, ossessiva ricerca di una verità assoluta che probabilmente non esiste, di una purezza di sentimenti per nulla adatta ai tempi e in fondo non troppo confacente, ora come allora, ad un’umanità per sua natura inquieta e volubile.
Ricorda Marco Lorenzi nelle note di regia: «È stato scritto che per fare il “Misantropo£ ci vogliono “una stanza, sei sedie, tre lettere e degli stivali”. Infatti il “Misantropo” non ha bisogno di forme, semplificazioni o “istruzioni per l’uso” perché la sua essenza è limpida, contemporanea e dolorosa».
«Il “Misantropo” siamo noi con la nostra costante difficoltà di incontrare l’altro di cui, però, non possiamo fare a meno» – sottolinea l’attore e regista: «Insomma, il Misantropo è quello che siamo. Noi siamo partiti proprio da questo, anzi da quello che avevamo a disposizione per raccontare questa storia nel modo più vivo possibile.
E quello che abbiamo a disposizione è il teatro. Semplicemente il teatro. Il teatro con la sua incredibile sintesi di vero e falso, di sincerità e finzione, di emozione e convenzione. Il palcoscenico e i camerini sono così diventati il luogo della nostra “favola” e gli spazi da cui partire per raccontare questa splendida commedia sulla tragedia di vivere insieme. »