Delle quattro date sarde del “ Macbettu ” diretto da Alessandro Serra il Teatro del Carmine di Tempio ospiterà l’ultima in programma venerdì 9 marzo alle 21.
Per il pubblico gallurese (quella di Tempio è l’unica rappresentazione prevista in Gallura) sarà l’occasione per gustare l’originalità di un’opera che nel corso del 2017 ha conseguito diversi riconoscimenti di prestigio, come il Premio UBU per il miglior spettacolo del 2017 e il non meno importante Premio dell’Associazione Nazionale Critici Teatro.
“Macbettu” è la versione rigorosamente sarda di una delle più classiche tragedie shakespereane. Dell’originale conserva l’intensità delle scene e del testo, recitato non in inglese, tantomeno in italiano, ma in sardo.
È una libera versione dell’opera di William Shakespeare, ma la trama è costruita sul tema principale dell’originale: la cieca ascesa verso il potere, la folle determinazione di chi lo vuole a tutti i costi conseguire, il conflitto (che riguarda anche la coscienza) che tale ricerca può provocare.
Contribuisce alla creazione di un contesto dinamicamente magico, con figure che richiamo le grandi maschere del più ancestrale dei retaggi, le pietre sonore di Pinuccio Sciola. Sono loro gli strumenti principali di una colonna sonora che vuole raccontare con le parole, i gesti e i suoni l’essenzialità della scena in cui la storia è ambientata. Non si tratta più della Scozia medievale, ma di una Sardegna quasi rarefatta nel tempo, umorale, archetipica.
Così descrive l’opera e il proprio lavoro il regista Alessandro Serra: “Il Macbeth di Shakespeare recitato in sardo e, come nella più pura tradizione elisabettiana, interpretato da soli uomini. L’idea nasce nel corso di un reportage fotografico tra i carnevali della Barbagia.
I suoni cupi prodotti da campanacci e antichi strumenti, le pelli di animali, le corna, il sughero. La potenza dei gesti e della voce, la confidenza con Dioniso e al contempo l’incredibile precisione formale nelle danze e nei canti. Le fosche maschere e poi il sangue, il vino rosso, le forze della natura domate dall’uomo. Ma soprattutto il buio inverno.
Sorprendenti le analogie tra il capolavoro shakespeariano e i tipi e le maschere della Sardegna.
La lingua sarda non limita la fruizione ma trasforma in canto ciò che in italiano rischierebbe di scadere in letteratura.
Uno spazio scenico vuoto, attraversato dai corpi degli attori che disegnano luoghi ed evocano presenze. Pietre, terra, ferro, sangue, positure di guerriero, residui di antiche civiltà nuragiche. Materia che non veicola significati, ma forze primordiali che agiscono su chi le riceve.