di Alessandra Corrias – Ho appena finito di leggere “NON HO PAURA DI MORIRE”, romanzo firmato da Diego Dalla Palma e Alessandro Zaltron e appena uscito in libreria per Salani.
A rendere il percorso ancora più “impervio” si aggiunga che il protagonista, Valerio – attore teatrale di successo giunto in vista della vecchiaia – decide di non accettare i limiti che un corpo in decadenza gli porrebbe e organizza la propria fine. Per farlo, cerca aiuto in un amico, Massimo, giornalista trentenne, il quale inizialmente si sente sopraffatto dalla richiesta e poi cerca di assecondare Valerio, riportandolo – attraverso il suggerimento di una specie di “pellegrinaggio” affettivo nei luoghi che hanno significato di più per lui – di far cambiare idea a Valerio, e convincerlo che ha ancora molte ragioni per vivere.
Il tema della morte, dunque, ma anche quello del suicidio, dell’interruzione volontaria della vita: argomenti delicati e sempre attuali che non lasciano indifferenti, ma necessitano, pretendono quasi, di una presa di posizione.
Anche Valerio, protagonista assoluto, muove le stesse reazioni: piace o non piace, con il suo essere estremo, intenso fino alla vertigine, inebriato di energia vitale o totalmente svuotato e prosciugato dalla vita, come un osso spolpato dal mare gettato sulla riva dalla risacca.
Valerio ha amato la vita e, tutto sommato, la ama ancora, con intensità totale, dedizione, tenacia, come e più di un amore in carne ed ossa; e questo nonostante i tradimenti, le ferite mai del tutto rimarginate, le delusioni e gli inganni che la vita gli ha portato. Il percorso geografico che Valerio traccia sulla cartina del Mediterraneo è soprattutto un viaggio nella propria anima ma anche occasione per ritrovare volti che hanno significato molto in precise epoche, snodi, della sua esistenza.
Massimo, con la sua sensibilità e anche la sua normalità quotidiana – un lavoro che non lo soddisfa, una fidanzata che non lo ama – guida l’amico attraverso il ricordo: perché nel ricordo Valerio potrà forse ritrovare l’unica “ragione possibile”, il senso autentico della vita umana, ciò che di noi lasciamo nei cuori degli altri.
Non svelo altri particolari della trama anche perché il percorso a tratti ci trascina in atmosfere da noir, alla ricerca dei pezzi mancanti del rapporto col padre molto amato, con l’epilogo finale che arriva un po’ ad “effetto” per sorprendere il lettore.
Detto ciò, mi piace aggiungere qualche considerazione personale.
Questo è il primo romanzo di Diego. Si tratta di un’opera a quattro mani, che si avvale del contributo di Alessandro Zaltron e già questo m’induce a confermare l’idea che mi sono fatta fin dalle prime pagine e cioè che Valerio, in certa misura, sia Diego e che Massimo riveli l’ombra di Alessandro. Molti gli indizi, le tracce di ciò: dall’imprinting veneto ad alcuni tratti fisici, perfino certi gesti peculiari (come il massaggiarsi le tempie): le maschere che celano i volti sembrano, a volte, fatte di carta velina.
Le dichiarazioni sull’importanza della bellezza nella vita, sui “grigi” che cercano di spegnerti nello squallore e nella banalità che li riempie e li alimenta, il rapporto con le passioni che ci tengono vivi, col sesso, con l’amore, il senso sacro dell’amicizia, tutto mi riporta a Diego, tanto che ho l’impressione di aver già ascoltato la sua voce pronunciare quelle stesse parole, in altri tempi e altri luoghi. Insomma, per me Valerio è Diego, magari non del tutto, non fino all’estremo – non voglio crederlo, forse perché mi risulterebbe doloroso da accettare – ma, nella sostanza, è lui in buona parte. Forse Alessandro si nasconde, allo stesso modo, dietro il personaggio di Massimo, come ho già detto, ma questo non posso saperlo perché non lo conosco direttamente.
Posso solo aggiungere che Diego si conferma, ancora una volta, coerente e fedele a se stesso, nella ricerca della sincerità anche scomoda, anche cruda. La vita è questa, sembra dire, inutile guardare altrove: si perde solo tempo, energia, concentrazione… E tanto ne serve – di tempo, energia e concentrazione – per imparare a vivere, per cavalcare la tigre e non farsi sbranare.
Ancora una volta, come ha già fatto in passato nei suoi libri, nelle trasmissioni, nelle rubriche, nelle interviste (e come continua a fare col suo blog e nei suoi interventi televisivi),Diego ci riporta con forza al senso di tutto: che la bellezza, quella autentica, con la B maiuscola, è fatta di verità e non può essere ridotta a mera apparenza, ma deve affondare le radici nel profondo del nostro cuore.
di Alessandra Corrias
Buona lettura.
“NON HO PAURA DI MORIRE” di Diego Dalla Palma e Alessandro Zaltron, ed. Salani.