I settant’anni dello Statuto sardo (1948 – 2018) di BEPPE MELONI

In quel lontano 31 gennaio 1948 lo Statuto sardo venne approvato dall’Assemblea Costituente, e da quel momento la Sardegna poté fregiarsi del titolo di “Regione Autonoma”. Ma non era una conquista soddisfacente, perché nasceva all’insegna della delusione, per tutti quelli che fin dagli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale, durante il fascismo e nel secondo dopoguerra, avevano sognato un’autonomia ben più ampia di quella concessa.

E non era neppure un buon viatico per la Regione Sarda, che tuttavia iniziava il suo lungo e difficile cammino.

I problemi da affrontare erano tanti, la malaria, lo spopolamento, la generalizzata denutrizione, l’analfabetismo, il banditismo, lo scarso rendimento lavorativo e la scarsità di industrie, erano i dati salienti dell’arretratezza della situazione sarda. Denunciata con crudezza dalla relazione di una commissione parlamentare d’inchiesta nei primi anni Cinquanta, che collocavano la Sardegna agli ultimi posti tra le regioni italiane. Poi veniva avanti, in tutta la sua crudezza, il problema della ricostruzione di Cagliari, città semidistrutta e ferita a morte. E in quelle tragiche giornate, su “L’Unione Sarda”, l’onorevole Antonio Segni, “lu professò” e sassarese doc, fortemente attaccato alla sua città, bollò con parole di fuoco i suoi concittadini che, tra le altre polemiche iniziative in quel secondo dopoguerra, proponevano il trasferimento del capoluogo sardo da Cagliari a Sassari. Nel quadro infuocato di quella contesa tra “torri e campanili”, tra Cagliari e Sassari, che ebbe il suo epilogo con l’assegnazione della Direzione generale del Banco di Sardegna alla città turritana. Ma l’evento più importante e incisivo fu prodotto da un evento esterno, la lotta per liberare l’isola dalla malaria. Una piaga endemica particolarmente presente nell’Oristanese e vinta nel 1947 con i fondi americani della Fondazione Rockefeller, la creazione dell’ERLAS, e un’opera di disinfestazione capillare che interessò tutto il territorio sardo. Poi arriverà la grande riforma dell’ETFAS, di concerto con la Cassa per il Mezzogiorno, per la grande bonifica delle terre incolte. Parte finale di quel moto per l’occupazione delle terre, la grande battaglia dei braccianti e contadini sardi, che segna il risveglio delle masse popolari dell’isola, con epicentro proprio nel Campidano di Oristano. Poi nel 1962 il varo del Piano di Rinascita, che prevedeva una quota notevole di finanziamenti per le opere di industrializzazione dei poli di sviluppo. Con scelte operative che privilegiavano alcuni poli industriali petrolchimici, sidero metallurgici, minerari, che non hanno risolto il problema drammatico dell’occupazione, sacrificando alcuni settori produttivi, piccole e medie industrie,  artigianato e agricoltura, che per quanto sostenuti, riusciranno a sviluppare soltanto alcune zone limitate. Poi per l’Oristanese, ci sarà – nel luglio 1974 – la conclusione della grande battaglia per l’autonomia provinciale e l’istituzione della quarta Provincia sarda. Ma a conti fatti, ricordando quelle luminose giornate di mobilitazione e di impegno, anche questa conquista si rivelerà una grossa delusione per il nostro territorio. Ancora oggi, alla ricerca affannosa di un’identità socio – politica e culturale, nel più vasto concerto regionale della Sardegna del Duemila.

Beppe Meloni