Legambiente: occorre una legge urbanistica per la gestione e la tutela delle coste
La conferenza sulla gestione e tutela delle coste ha confermato che per affrontare anche il fenomeno della erosione costiera e’ necessario un maggior rigore nella pianificazione degli ambiti costieri. Pertanto si richiede una legge urbanistica che rafforzi i valori naturalistici e paesaggistici della fascia costiera previsti dal ppr.
Legambiente ha partecipato ieri alla conferenza sulla Gestione e tutela delle coste organizzato dalla Regione Sardegna con una delegazione composta da Vincenzo Tiana, Paolo Scarpellini e Nicola Sollai per contribuire ad affrontare il problema della gestione attiva, nella convinzione che ciò sia possibile all’interno di un grande programma pianificatorio che esalti le politiche di tutela.
Nell’intervento alla conferenza sono stati esposti i seguenti temi:“Va premesso e ricordato che Legambiente ritiene prioritaria l’attuazione del Piano Paesaggistico Regionale (PPR) mediante adeguamento degli strumenti urbanistici locali (PUC, PUIC e piani attuativi) ai principi, alle direttive e alle prescrizioni del medesimo PPR. Questo vale a maggior ragione per la fascia costiera, dichiarata bene paesaggistico, entro la quale finora sono stati adeguati i PUC soltanto per 21 dei 106 comuni interessati. Legambiente auspica da tempo che la legge urbanistica regionale, ancora in discussione, favorisca questo processo attuativo, semplificandone e accelerandone le modalità.
Le conseguenze dei cambiamenti climatici sono purtroppo già fin troppo evidenti: il carattere estremo degli eventi meteorici, con alternanza di lunghi periodi di siccità e intense precipitazioni, e l’innalzamento del livello del mare, con erosione dei litorali, delle spiagge e delle coste rocciose. Occorreranno decenni per arginare o attenuare questo fenomeno planetario, sempre che i governi di tutto il mondo corrano davvero ai ripari con provvedimenti drastici contro le emissioni nocive e la deforestazione.
In Sardegna rischiamo di perdere in breve tempo le nostre candide spiagge, mentre gli insediamenti rivieraschi vanno incontro ad allagamenti sempre più frequenti, verso l’inesorabile destino della completa sommersione, anche se è ancora difficile prevederne i tempi. Inoltre gli stagni costieri e le zone umide saranno sempre più esposte al rischio dell’aumento della salinità, per le infiltrazioni di acqua marina e salmastra, con evidente danno per la flora, la fauna e la pesca.
Anche dal punto di vista paesaggistico, il panorama palustre e lacustre costiero della Sardegna rappresenta un fattore di marcata identità geografica e idrogeologica, riconoscibile su quasi tutto il perimetro dell’Isola seppure declinato in diverse connotazioni a seconda dei caratteri geologici ed orografici. Occorre quindi una strategia interdisciplinare ed interistituzionale al fine di elaborare un progetto di gestione unitaria ed integrata delle zone umide costiere della Sardegna, che costituisca indirizzo prioritario della politica regionale e da portare all’attenzione della programmazione comunitaria.
Progetto che sia capace di coordinare le azioni per un efficace intervento di risanamento ambientale, di tutela della qualità della risorsa idrica, una conseguente ripresa della potenzialità di pesca e acquacoltura, il rilancio delle saline, lo sviluppo della ricerca scientifica, il miglioramento della attrattività ambientale, il turismo naturalistico e lo sviluppo culturale ed educativo, il miglioramento della qualità dei corpi idrici delle acque interne, il corretto e regolare smaltimento ed assorbimento delle acque pluviali ed alluvionali, e dunque una efficace prevenzione del dissesto idrogeologico e del rischio di esondazioni catastrofiche.
Abbiamo dunque di fronte un futuro estremamente complesso per le nostre coste, e si rende necessario configurare diversi scenari, dal più pessimistico al più roseo, nella consapevolezza che il governo del territorio, anche nelle fasce contermini al mare, costituisce uno strumento indispensabile per gestire correttamente gli eventi attesi.
Occorre quindi evitare l’affastellamento di norme e strumenti settoriali sovente contraddittori, unificando le previsioni dei Piani Urbanistici Comunali e Intercomunali, dei Piani di Utilizzo dei Litorali, dei Piani Regolatori Portuali, dei Piani di Risanamento, dei Piani Attuativi, e di ogni altro mezzo di programmazione, sempre in rigorosa sintonia con le indicazioni del Piano di Assetto Idrogeologico e del Piano Paesaggistico Regionale, a loro volta armonizzati tra di loro.
Certamente occorre ipotizzare, e forse prevedere, la delocalizzazione di alcune attività dalle fasce costiere, laddove maggiore è il rischio di alluvioni o di frequenti allagamenti. E comunque le norme urbanistiche dovrebbero essere finalizzate essenzialmente ad una visione del territorio mirata prioritariamente al ripristino dei caratteri naturalistici e tradizionali, tenendo però in conto gli effetti attesi dei cambiamenti climatici.
L’innalzamento del mare e l’erosione costiera sono fenomeni che non possono essere affrontati in chiave meramente tecnologica, applicando le consuete ricette dell’attenuazione del moto ondoso con moli e sbarramenti, che hanno imbruttito molta parte dei litorali della nostra Penisola, e che hanno una efficacia solo temporanea.
Tra le misure di salvaguardia e cautelari della nuova legge urbanistica regionale, sarebbe quanto mai opportuno che, fino alla definitiva approvazione degli strumenti urbanistici adeguati al PPR e al PAI, le amministrazioni locali sospendano ogni determinazione in merito anche agli interventi di trasformazione urbanistica o di espansione edilizia, ovvero di carattere infrastrutturale, ancorché contenuti in piani o programmi già approvati e/o finanziati.
La fascia di territorio costiero, almeno per 300 metri dalla linea di costa, dovrebbe restare immune e indenne da ampliamenti o nuove costruzioni, da progetti “di interesse economico sociale” ancorché “ecosostenibili”, da nuove strutture al servizio della nautica e della balneazione, ancorché precarie e reversibili, da nuove strade e parcheggi in prossimità di ogni spiaggia e di ogni caletta, meritevoli queste di massima salvaguardia ambientale. La domanda di strutture ricettive può essere soddisfatta incentivando una maggiore utilizzazione turistica delle numerosissime seconde case (viene stimato il numero impressionante di 200.000), anche convertendone parte alla funzione alberghiera, escludendo tuttavia gli insediamenti adiacenti alla linea costiera e privilegiando il recupero degli edifici abbandonati.
In conclusione l’assetto della fascia costiera che giustamente il PPR ha inquadrato come bene paesaggistico d’insieme va maggiormente salvaguardato nei suoi caratteri distintivi geomorfologici ed ambientali ribadendo la norma di inedificabilità dei trecento metri dal mare e la riqualificazione dei territori e degli insediamenti esistenti. Si richiama l’attenzione sull’impatto degli agglomerati costieri esistenti, costituito prevalentemente da seconde case.
Dalle relazioni è emerso che la tutela degli ambiti costieri passa per politiche che prevedano arretramenti delle costruzioni, delocalizzazioni ed interventi di rinaturalizzazione. In sostanza è necessario aiutare la natura a ristabilire nuovi equilibri dei litorali.
Legambiente chiede che le numerose ed interessanti relazioni vadano ad arricchire il dibattito sulla nuova legge urbanistica”