Mattarella vara il “Governo neutrale”. Difficile ottenere la fiducia alle Camere.
Un “governo neutrale” per superare lo stallo tra i partiti. E’ questa la mossa del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, entro giovedì, dovrebbe indicare una personalità “terza” a cui affidare il compito di formare un esecutivo e chiedere la fiducia alle camere.
Al momento, però, in parlamento non sembrano esserci i numeri: M5S e Lega si sono sempre dichiarati contrari, mentre Forza Italia tentenna tra la necessità di seguire il Carroccio sulla posizione del no per tenere unito il centrodestra e la tentazione di far avviare la legislatura.
Anche con l’appoggio di Forza Italia, comunque, la fiducia al governo del Presidente sembra lontana, con il solo Pd schierato apertamente per il sì.
Cosa succederà? Quattro possibili scenari
Il quadro è pieno di incognite: mai, nella storia della Repubblica, un “governo del Presidente” è stato respinto dal Parlamento.
Se però il premier incaricato dovesse ottenere la fiducia, Mattarella ha già dettato la road map: l’orizzonte temporale dell’esecutivo sarebbe quello di dicembre 2018, giusto il tempo di approvare la legge Finanziaria e scongiurare l’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia. In questo lasso di tempo, ai partiti spetterebbe il compito di scrivere una nuova legge elettorale per portare il paese alle urne nei primi mesi del 2019.
Sempre in caso di fiducia, Mattarella mette sul piatto un’alternativa: il governo neutrale, composto da personalità che rinunciano esplicitamente a candidarsi alle prossime elezioni, sarà pronto a dimettersi se tra i partiti dovesse maturare un accordo politico. In questo modo, il governo politico prenderebbe il posto di quello neutrale e la legislatura potrebbe proseguire regolarmente.
Se i partiti negassero la fiducia?
Nel caso in cui il governo neutrale dovesse essere bocciato dal Parlamento, la strada porta dritta alle elezioni. Ma, anche su questo punto, Mattarella si troverà davanti a un bivio: indire le votazioni per luglio o per ottobre?
I contro della scelta estiva, con il 22 luglio che sembra essere la data più plausibile, sono chiari: le vacanze estive comprometterebbero il pieno esercizio del voto e l’astensionismo rischierebbe di salire alle stelle. Queste obiezioni, unite al fatto che nella storia della Repubblica non si è mai votato dopo l’ultimo weekend di giugno, non sembrano però interessare Lega e Movimento 5 Stelle: “Voto subito” dice Di Maio, mentre il portavoce del Carroccio Gian Marco Centinaio si dice pronto “ad andare a votare anche a Ferragosto se è per far scegliere gli italiani”.
La scelta di ottobre, comunque, aprirebbe altri problemi, ugualmente inquietanti. L’autunno infatti è il periodo previsto per l’approvazione dalla legge di bilancio e senza un governo con pieni poteri il paese sarebbe costretto a ricorrere all’ “esercizio provvisorio di bilancio“: scongiurare l’aumento dell’Iva dal 23 al 28% sarebbe quasi impossibile, mentre il debito pubblico potrebbe tornare ad essere un problema.
La Bce, come annunciato da Draghi, continuerà ad acquistare titoli di Stato fino a dicembre 2018, mantenendo basso il livello dello spread. Da quel momento, e con un quadro di incertezza politica continuata, i conti pubblici potrebbero tornare sotto attacco da parte dei mercati finanziari, come nel 2011.
Sul tavolo resta infine la questione della legge elettorale: che sia luglio o ottobre, tornare al voto con il Rosatellum rischierebbe di riproporre uno scenario con un parlamento ingovernabile e l’impossibilità di formare un governo. La stessa situazione in cui ci troviamo oggi.
di Michele Bollino