Vertice dei ministri degli Interni Ue sull’accoglienza dei migranti. Si discute la proposta bulgara di modifica delle modalità di richiesta di asilo
Mayer ha ricordato che anche il Governo Gentiloni “aveva espresso le sue critiche” alla bozza bulgara. “Noi siamo aperti a una discussione costruttiva sulla proposta della presidenza bulgara ma allo stato attuale non la accetteremo”, ha ribadito. Nulla di fatto dunque in vista nella discussione di oggi al Consiglio dei ministri dell’Interno dell’Ue sulla riforma del sistema dell’asilo di Dublino. Appuntamento a cui il neo ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini è assente per il voto di fiducia del governo al Senato.
Salvini intanto ha incassato il sostegno dell’Austria che considera l’Italia “un alleato forte”. Il ministro dell’Interno di Vienna Herbert Kickl ha fatto sapere che se non ci sarà un’intesa sulla proposta per la riforma del regolamento di Dublino sul tavolo, al vertice dei leader Ue di giugno, alla riunione informale Affari interni di Innsbruck, a settembre (durante la presidenza austriaca), l’Austria “annuncerà qualcosa come un piccola rivoluzione copernicana” sulla politica di asilo.
La proposta di compromesso posta sul tavolo dalla presidenza di turno bulgara del Consiglio Ue non dispone dell’appoggio della maggioranza qualificata degli Stati membri, visto che, oltre alle critiche tedesche, vi si oppongono da una parte l’Italia e gli altri Paesi in prima linea lungo le rotte dei flussi migratori nel Mediterraneo, e dall’altra, per ragioni opposte, l’Austria e i quattro Paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia).
Nonostante il Trattato Ue consenta di prendere le decisioni in questo settore a maggioranza qualificata, in questa fase del negoziato sia la Commissione che la presidenza bulgara vorrebbero un accordo unanime per evitare di creare ulteriori fratture fra gli Stati membri. Prevedibilmente, dunque, i ministri oggi non potranno che prendere atto del loro disaccordo, e il dossier passerà nelle mani dei capi di Stato e di governo al Consiglio europeo di fine giugno, a Bruxelles.
I Paesi mediterranei temono che questa riforma, così debole, cambi molto poco o per nulla la situazione attuale, mentre il blocco dell’Europa centro orientale insiste sulla sua opposizione di principio alla possibilità che decisioni di politica comune Ue, prese a maggioranza qualificata (come prevede il Trattato) possano imporre a un Paese sovrano decisioni su chi ammettere sul proprio territorio. Il compromesso proposto dalla presidenza semestrale bulgara è meno ambizioso della proposta originaria della Commissione europea e lo è molto meno rispetto alla posizione sulla riforma che ha preso a larga maggioranza l’Europarlamento.
Il testo della presidenza, in particolare, renderebbe più complesso da attivare, meno “automatico” e meno obbligatorio il meccanismo permanente di attivazione dei “ricollocamenti” dei richiedenti asilo, secondo “quote eque” di redistribuzione in tutti gli Stati membri assegnate in base a due soli criteri oggettivi: la popolazione e il Pil del Paese interessato.
La proposta di compromesso, nella parte relativa alla “giusta redistribuzione” dei richiedenti asilo in tutti gli Stati membri, è talmente complicata da sembrare scritta apposta per non essere mai applicata. In buona sostanza, la proposta iniziale della Commissione prevedeva un meccanismo permanente con due fasi, la situazione normale in cui ogni Paese è responsabile (come oggi) dei richiedenti asilo che arrivano sul suo territorio, e quella d’emergenza in cui scatta la solidarietà degli altri Paesi membri – con i ricollocamenti – quando i flussi aumentano oltre il 100% rispetto all’anno precedente.
La proposta della presidenza bulgara, invece, aumenta la fasi del meccanismo a tre: fase normale, crisi difficile (“challenging”) e crisi grave (“severe”). La fase “difficile” scatta quando i flussi di richiedenti asilo in un Paese superano la soglia del 120% della situazione “normale” e, in più, corrispondono a oltre lo 0,15% della popolazione del paese interessato; la crisi “grave” viene innescata quando si va oltre il 140%. C’è però anche una soglia ulteriore, il 160%, che fa scattare misure più drastiche, con più potere in mano alla Commissione europea.
Quando uno Stato membro entra nella fase “difficile” (120%), viene attivata una serie di aiuti economici nei suoi confronti da parte dell’Ue e vengono incoraggiati ricollocamenti volontari di richiedenti asilo in base ad accordi bilaterali con gli altri Paesi membri che sono disposti ad accoglierli. Quando si passa alla crisi “grave” (140%), la Commissione propone dei ricollocamenti obbligatori al Consiglio Ue, che può approvarli a maggioranza qualificata. I ricollocamenti, una volta decisi, continuano fino a quando il Paese in “crisi grave” non ritorna ai livelli di afflusso di richiedenti asilo della fase “normale”.
Fonte: www.affaritaliani.it