Giulia malata immaginaria di Giuseppina Carta

Si girò nel letto pigramente, un miagolio prima sommesso che sembrava avesse paura di svegliarla si fece via via più insistente e dal tono più alto, le diede il buon giorno. Il micio saltò sul letto e imperioso le offrii le coccole, effusioni delicate, un momento di benessere comune.

Giulia le diede una grattata sotto il musetto e nella gorgiera, il piccolo animale ricambiò strofinando il musetto nel viso di Giulia.

Lentamente si alzò in piedi, anche il piccolo micio saltò giù dal letto e la seguì in cucina, continuò a strusciarsi sulle gambe della sua padrona, poi qualcos’altro catturò la sua attenzione. Giulia era sempre di fretta , la sua era una corsa perenne contro il tempo : lavoro, palestra, amici, era una vela spiegata nel vento. Poi tutto cambiò di colpo, la sua vita divenne una crudezza senza poesia, niente più suscitava in lei emozioni. Aveva dovuto lasciare il lavoro, non riusciva più a stare ore seduta davanti a un computer, i dolori alle mani, alla schiena, alle gambe, non la abbandonavano mai. Divenne un dolore cronico, durante l’inverno il dolore si intensificava ancora di più. Quando si alzava dal letto, riusciva a fatica a muovere i passi. Il suo corpo era pervaso dal dolore , dalla rigidità muscolare e dalla stanchezza cronica. Fibromialgia, fu il responso della reumatologa. Il suo era un animo guerriero, non si stancava di lottare, alternava momenti di solitudine in cui lo sconforto trovava terreno fertile quando in tanti, anche la sua famiglia l’accusava di avere poca resistenza al dolore o la considerava una malata immaginaria. Sorrideva raramente ormai, l’energia si sgretolava ogni qualvolta i medici prescrivevano medicinali senza saper dare spiegazioni ai suoi mali. Antidepressivi, e ancora antidepressivi, miorilassanti, perfino oppiacei. Il corpo gridava forte il suo dolore, ma l’anima, quella aveva subito un ingiustizia, era trafitta da tanti spilli conficcati da chi la considerava “una malata immaginaria”. Prese la cialda, la infilò dentro la macchinetta del caffè, tocco il tasto per fare un caffè lungo che avrebbe sorteggiato con calma. Amava la vita , non voleva più nascondersi nel dolore. “Adesso voglio vivere, non importa ciò che possono pensare gli altri, la vita è unica”. Allungò la mano verso il pelo grigio del gatto che reclamava altre coccole, e pronunciò la parola “amico”.

Giuseppina Carta