Il vice commissario della Lega Dario Giagoni e Giovanni Nurra coodinatore del Nord Sardegna, prendono posizione sulla Legge Regionale 28/2018 approvata in piena estate
Il Vice Commissario Regionale della Lega Dario Giagoni ed il Coordinatore del Nord Sardegna della Lega, Giovanni Nurra di Sassari, prendono posizione sulla Legge Regionale 28/2018 approvata in piena estate, il 2 agosto 2018, e plaudono all’iniziativa nel suo insieme in quanto in generale si tratta di una buona legge, ma che è scivolata sulla classica buccia di banana.E’ una legge che ha avuto il suo iter dal giorno 8 marzo 2018 quando è stata presentata la proposta di Legge n°495/2018 “Disposizioni per la valorizzazione della suinicoltura sarda” finalizzata al rilancio del settore suinicolo a seguito dell’avvio del piano di eradicazione della peste suina africana avviato quattro anni fa dalla attuale Giunta regionale. Attività fortemente meritoria, perché l’eradicazione della peste suina riaprirà l’esportazione e creerà diverse decine di nuovi posti di lavoro e non solo!
Legge che è stata poi approvata all’unanimità con 39 voti, da parte del Pd, dei Riformatori, di Forza Italia, Sinistra e Pds.
E’ una Legge che cerca di tutelare gli allevatori che vogliono vendere onestamente i propri prodotti e si vorrebbero tagliare fuori coloro che producono e vendono senza controllo sanitario, in nero, a un prezzo inferiore a quello di mercato perché magari è un “Secondo Lavoro”, quindi esente tasse.
Ora che è stata definitivamente licenziata dal Consiglio i due leader leghisti prendono posizione per segnalare agli enti competenti che nella legge, necessaria per la crescita della suinicoltura sarda, ci sono alcune cose che devono essere velocemente riviste.
In particolare il comma 2 dell’art. 4 della citata legge regionale prevede che “Nell’allevamento familiare si possono detenere fino a quattro capi suini da ingrasso e non è consentita la presenza di capi riproduttori. Nella stessa azienda agricola non è consentito più di un allevamento di tipo familiare. Tutti i capi allevati sono destinati all’autoconsumo e non sono oggetto di attività commerciale o di movimentazione verso altri allevamenti.”
Comma fatto apposta per la Sardegna, antica terra di tradizione dell’allevamento familiare, e già normato dal D.Lgs. 200/2010, dove gli allevamenti familiari o “da riproduzione a ciclo chiuso” sono censiti dalle ASL e come tali trattati anche nella BDN (Banca Dati Nazionale).
Allevamenti in cui la famiglia produce maialetti da latte, per uso proprio o per la commercializzazione marginale.
Con questa norma si cambia tutto. Si impedisce la presenza di capi riproduttori, siano essi verri o scrofe e si dovranno allevare solo animali acquistati già castrati ed allevati per la successiva macellazione familiare.
Nella pratica chi volesse effettuare un allevamento familiare dovrà rivolgersi ad un tecnico per presentare una DUA al SUAPE competente, come persona fisica, per l’apertura dell’allevamento, censito in BDBN e farlo seguire regolarmente dalla Asl competente locale. Giustamente non potrà accedere ai fondi o premi comunitari, che spetteranno solo ed esclusivamente a quelli professionali con Partita IVA.
Inoltre le prescrizioni sanitarie e pertanto tutti gli adempimenti, dopo prelievo da parte Asl, sia che l’allevamento sia familiare o professionale. sono identiche
Da plaudere l’iniziativa volta alla tutela e valorizzazione del suino di razza sarda, alla valorizzazione della qualità e la possibilità di far macellare, in idonei locali, le piccole produzioni senza rivolgersi ai mattatoi accreditati.
Sta di fatto che il comma 2 dell’articolo 4, impedisce la produzione familiare del classico porcetto sardo o lattonzoli da 8/12 Kg, perché non ci sarebbero i tempi tecnici per una gestione familiare dell’attività e lo costringerebbe a rivolgersi alle macellerie.
Sarà invece agevolata la produzione del classico magrone per la riserva di carne familiare.
Di fatto, proprio per combattere la peste suina, si sta combattendo la tradizione e favorendo l’allevamento abusivo, proprio all’opposto di quello che si voleva fare. Un effetto boomerang, di cui vedremo gli effetti nel medio-lungo periodo.
Certamente i grossi allevamenti, saranno giustamente agevolati ma a discapito dei piccoli, di chi è abituato a farsi la provvista e avere porcetti per le varie occasioni, familiari o meno.
Indubbiamente, continuano Giagoni e Nurra, dopo che nei vari anni è stato imposto a tutti gli allevatori un certo protocollo gestionale, per agevolare l’eradicazione della peste suina africana, si potevano benissimo fare altre scelte e trovare altre soluzioni, senza colpire le famiglie che portano avanti una tradizione, in maniera sana e rispettosa degli stessi animali.
Magari si possono prevedere più controlli ed assistenza per questa tipologia di allevamento, sia del tipo sanitario che tecnico, oppure sanzioni molto elevate per i trasgressori. O ancora mettere in condizioni le famiglie con giusti strumenti, che da sempre hanno allevato in casa i propri animali seguendo le antiche usanze, di mettersi in regola modificando la legge che a noi pare lacunosa sotto questo aspetto. Tutto a vantaggio degli stessi conduttori, ma non si doveva arrivare a costringere il sardo a comprarsi i classici porcetti o lattonzoli, di provenienza olandese o rumena o altro, macellati in Sardegna.
È altamente verosimile che tale disposizione di legge conduca solo in ambito di illegittimità un’antica tradizione corredata da edificanti echi turistici: I SARDI, MA ANCHE GLI AFFEZIONATI TURISTI, NON MERITANO PROPRIO TALE UMILIAZIONE.