Su Brugu in festa per Sant’Efisio. Una festa tira l’altra. E così, archiviata l’ultima edizione della sagra di Santa Croce, in quello spiazzo antico, una volta, tanto tempo fa, “pratz’e is bois” oggi piazza Giorgio Luigi Pintus, una delle figure più rappresentative del piccolo mondo culturale arborense del secolo scorso, il “Settembre oristanese” prosegue con la festa di Sant’Efisio martire.
Oggi “Su Brugu” è un po’ meno periferia di una volta, quando Oristano secondo il Casalis “comprendevasi della città propriamente detta entro le sue antiche muraglie, e di alcuni sobborghi tra i quali quello di Sant’Efisio, con una chiesa minore fabbrica semplice di buon lavoro, divenuta di seguito (Decreto Canonico 1929 – Decreto Regio 1930) una delle tre parrocchie cittadine. E qui, nella terza domenica di settembre, proprio a ridosso e in prosecuzione della sagra di Santa Croce, è festa grande.
Quasi un ritorno al passato, una rivincita dei sobborghi nei confronti del più ricco centro storico. Gli abitanti si ritrovano in questa chiesa barocca, alla quale Peppetto Pau attribuiva “un suo decoro nel monocromo paramento d’armonia e nel progetto che aspetta invano l’altra torre campanaria”. Festa che ha fatto sempre emergere tutta la religiosità di quel popolo semplice e minuto, per il quale questa chiesa è sempre un riferimento costante della vita religiosa e civile. Non a caso, nell’immediato secondo dopoguerra, “piazza del popolo” come veniva chiamata piazza Sant’Efisio, è diventata punto di ritrovo obbligato, quasi una zona di confine tra il centro e la periferia. Con la sua teoria di casette basse, costruite per lo più con materiale di fango, “su ladrini”, e una spruzzata di bianco sulle candide facciate. Su queste file di casette anonime e tutte uguali, che si estendevano da un lato sino a “sa ruga e is ballus”, l’odierna via Aristana, sede del chiassoso e variopinto mercatino settimanale in via di trasferimento, e dall’altro verso la stazione, via Lepanto e via Masones, “sa ruga de is pastoris”. Dove dominava come un simbolo la palazzina di Giovanicco Falchi. Uomo venuto dal popolo, e bella figura di imprenditore agricolo. Che ha impersonato, come ricorda ancora Pau, “con intelligenza il potere dell’agricoltura e del più florido centro agricolo dell’isola”. In questo scenario, ripetendo il rituale dei festeggiamenti cagliaritani del primo maggio, la statua di autore ignoto. raffigurante il Santo, veniva adagiata su un carro a buoi e portata in processione da Oristano a San Giovanni di Sinis. E una lunga teoria di carri a buoi, le caratteristiche traccas, di carrette e uomini a cavallo, scortava il Santo nella sua annuale peregrinazione da Oristano alle rovine di Tharros. Quando i Carta e i Falchi, “i signori” di Oristano, erano le famiglie più in vista e facoltose della città. E con alcuni personaggi giunti dai centri vicini, hanno creato le premesse, all’alba del Novecento, per lo sviluppo delle più importanti intraprese agricole-industriali del capoluogo. Di quella vecchia, cara Oristano che non c’è più.