Diritti dei Minori. Si è svolto questa sera l’incontro all’Hostel Marina di Cagliari alla presenza di Don Ettore Cannavera, Direttore della Comunità “La Collina” di Serdiana che ha ricordato, in un intervento chiaro, conciso, diretto, la centralità del ruolo di genitori, insegnanti ed istituzioni nell’educazione dei giovani, nella prevenzione, nell’intercettazione del disagio.
Un tema delicato, al limite dell’accettabile per chi, abituato alle consuetudini di una quotidianità sempre meno attenta alle esigenze dei bambini ed in particolar modo dei ragazzi. Ci si dimentica spesso dell’importanza del ruolo educativo della scuola, dei media e, non ultima, della famiglia, nello sviluppo dei giovani. Le parole di Don Cannavera tuonano davanti al pubblico attento composto da poche persone che, come lo stesso fa notare, è sinonimo di disinteresse nei confronti dei giovani che chiedono, con voce sottile e sommessa, di essere ascoltati. Abbiamo raccolto la testimonianza di Don Cannavera che, più di qualsiasi altro, è stato capace di raccogliere queste sfide e ne ha fatto una missione di vita.I dati pervenutici dal Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità, aggiornati al 15 settembre 2018 ci informano che 1.232 ragazzi sono entrati in istituti penali per minori nell’anno 2018. La presenza media giornaliera è di 467,9 ragazzi e i presenti al 15 settembre sono 483. Di questi 39 hanno un età di 14-15 anni, 151 di 16-17 anni, 229 tra i 18-20 e 64 tra i 21-24 anni. Quale risposta può dare la Giustizia in termini di efficacia ai bisogni di questi ragazzi?
“La risposta è contenuta nelle parole Giustizia e Comunità. Il ragazzo che commette reato deve essere fermato in carcere, ma il tempo minimo per espletare le procedure. Dopo circa due mesi il ragazzo assume l’identità del modello, stereotipo, etichetta che la società riserva a chi commette determinati tipi di reato. Il ragazzo entra nell’ottica del non vedo, non parlo, non sento, fondamentalmente basato su un rapporto falsato che non prevede misure alternative. Ed è invece proprio questo su cui dovremmo investire. C’è una sostanziale diminuzione dei ragazzi nelle carceri, con una media di 450/500, tempo prima anche più di 1000. Dovranno diminuire ancora, e lo stesso carcere diventare residuale, fino ad arrivare ad un minimo di 20 persone nelle carceri di tutta Italia. Gran parte di questi possono usufruire della misura alternativa che la stessa legge permette. Il lavoro politico consisterebbe quindi nel costruire Comunità. La stessa nostra comunità è finanziata dalla Regione Sardegna, un fiore all’occhiello a livello nazionale. L’investimento più importante deve arrivare per comunità esterne al carcere che prevedono un percorso di lavoro e reinserimento di soggetti”
Al 15 settembre, apprendiamo dalla stessa fonte, che i delitti a carico di minori entrati nei Centri di Prima Accoglienza sono 1.066. Di questi 128 contro la persona, 589 contro il patrimonio, 28 contro lo Stato e l’ordine pubblico. Cosa spinge questi ragazzi ad azioni di questo genere?
“Un problema certamente di prevenzione. Quando mi capita di incontrare questi ragazzi, la prima cosa che faccio è chiedermi dove fosse un anno o due anni prima, a quale famiglia apparteneva, che scuola frequentava, che quartiere ha frequentato. Nessun ragazzo nasce deviante. Chiediamoci che genere di lavoro stiano facendo le istituzioni e conseguentemente come si costruisce un’identità deviante”
Cosa ci sta sfuggendo? Qual’è il messaggio che vogliono trasmetterci? E come possiamo fare per raccogliere dette istanze?
“I ragazzi chiedono attenzione. Il messaggio che sta dietro all’azione deviante è sempre una richiesta d’attenzione, spesso negata da quegli stessi adulti che invece dovrebbero essere presenti nella vita del ragazzo. Il messaggio indiretto del ragazzo ci aiuta a scoprire le mancanze avute in passato, con quali persone, in quali ambiti si è sentito più solo, non considerato”
La cooperativa sociale “Società Dolce” di Bologna, insieme alle Regioni dell’Emilia Romagna, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta, ha messo in campo un progetto contro la povertà educativa intitolato “Ali per il futuro”, rivolto a famiglie con bambini da 0 a 6 anni in situazioni di vulnerabilità sociale. Mira ad accompagnare attraverso un progetto personalizzato le stesse al fine di migliorarne le condizioni sociali ed economiche, garantendo la crescita e il benessere dei figli. Quali sono i servizi attualmente presenti atti allo scopo nella sola città di Cagliari e quali risposte potremmo dare, in mancanza, alle famiglie con problemi economici?
“Purtroppo c’è mancanza di questi servizi, ed il mio appello va alle istituzioni locali, in quanto la stessa legge prevede che gli enti locali si occupino anche e soprattutto dell’aspetto educativo dei ragazzi. Ogni comune deve incaricarsi della promozione degli educatori, di preparare progetti di formazione per i futuri genitori: bisogna aiutare un genitore in difficoltà di relazione con un figlio, perchè questi non sono preparati. Chi da al genitore gli strumenti culturali per affrontare queste situazioni difficili? In conclusione del mio lavoro penso sia più giusto occuparmi, non più degli adolescenti, ma dei genitori e degli insegnanti che possono indicare ai giovani la via dell’onestà e della legalità”
In Italia bambini, adolescenti e donne rischiano esclusione sociale e povertà più che in qualsiasi altro paese europeo. E’ quanto emerge dal WeWorld Index 2018, il rapporto annuale realizzato dalla Onlus WeWorld che valuta lo sviluppo di 171 paesi europei ed extraeuropei, osservando le condizioni di vita dei soggetti più a rischio esclusione. Qual’è stata la sua esperienza con ragazzi “al margine” e quali servizi potremmo ancora attivare per favorire l’integrazione?
“La prima cosa da fare è attivare un progetto educativo ai primi segnali di devianza, mettere insieme le tre componenti: famiglia, scuola ed ente locale che dovranno assumersi la responsabilità dell’intervento”
Dallo stesso rapporto apprendiamo che in 5 paesi sono presenti barriere che impediscono l’accesso a un educazione inclusiva: il Kenya, dove la denutrizione ostacola la partecipazione scolastica dei bambini. Nella contea di Mingori il 26,4% dei bambini con meno di 5 anni soffre di denutrizione cronica e il 9% è sottopeso. Segue l’India, dove il 40% dei migranti ha meno di 18 anni e il 34% dei bambini coinvolti negli spostamenti abbandona il percorso di studi. Quali sono, secondo lei, i veri problemi che rappresentano un limite all’espressione dei ragazzi e che penalizzano ulteriormente le loro aspettative?
“E’ un problema politico. I ragazzi non hanno diritto di voto. Il voto è una possibilità che gli viene negata. Deve entrare in gioco un aspetto educativo da parte delle stesse istituzioni. Il compito educativo è parte della programmazione e come tale dev’essere inserito tra le cose importanti da fare”
In che direzione dobbiamo lavorare per favore l’inclusione sociale?
“Il riconoscimento dei diritti, primo fra tutti la crescita culturale, la messa a frutto delle proprie capacità, le proprie potenzialità, questo è un primo grande passo nel percorso di individuazione. E’ necessario che vi siano opportunità per lo sviluppo di queste potenzialità ed un’assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni“.
Daniele Fronteddu