Raccontando da par suo, le vicende e i personaggi delle intraprese industriali in Sardegna, Paolo Fadda, scrittore, storico e saggista cagliaritano, ha ricordato quel periodo del primo dopoguerra isolano.
Quando Giulio Dolcetta, ingegnere, imprenditore, amministratore delegato dell’idroelettrica del Tirso, della Società Elettrica Sarda e delle Bonifiche Sarde, il “viceré” sardo del grande capitale continentale, lancia un appello alla notabilità locale della politica e dell’economia perché partecipino al grande progetto di sviluppo industriale dell’isola.
C’è in Sardegna un grande sviluppo di iniziative: si realizzano a Cagliari le Cementerie e le Ceramiche di Santa Gilla, i Contivecchi gestiscono le saline di Macchiareddu, si sviluppano le autolinee della Satas e si avviano le grandi bonifiche nello stagno di Sassu. Il cervello di queste iniziative è quel Gruppo Elettrico Sardo che, trascinato dall’ingegnere Dolcetta sta trasformando una terra infelice e dimenticata da tutti.
E il grande sbarramento del fiume Tirso, il più grande dell’isola, nei progetti di Dolcetta, non sarà solo un grande serbatoio per produrre forza motrice, ma sarà soprattutto un’occasione irripetibile per contribuire alla modernizzazione dell’agricoltura sarda.
Il suo piano d’azione definito in poche linee è di una chiarezza esemplare: costruzione di un grande lago artificiale grazie a robusti sbarramenti sui principali fiumi sardi, o di corrispondenti centrali idroelettriche, distribuzione dell’energia elettrica per illuminazione, forza motrice, usi agricoli, bonifiche idrauliche e sistemazioni agraria su vaste zone, distribuzione di acqua per irrigazione.
La Grande Guerra volge ormai al termine e in Sardegna la borghesia locale e tutta la società si propongono con determinazione il problema acuto del riscatto sociale e della modernizzazione capitalistica trai loro principali obbiettivi. L’elettrificazione sarà il volano di questo processo.
Dolcetta lo ha intuito molto bene e sviluppa tutti i legami possibili con il gruppo che governa la politica isolana. E, finalmente, arriva il gran giorno e la diga viene inaugurata ala presenza del Re Vittorio Emanuele III, “Re Sciaboletta”, con una grande partecipazione di popolo. E’ il 28 aprile 1924, un lunedì molto mite come spesso ci regala la primavera sarda. Davanti al Sovrano che avanza a piccoli passi, c’è lui, Giulio Dolcetta, il principale artefice della grande impresa. Sembra anche più alto, riferiscono le cronache del tempo. Quasi un gigante accanto al piccolo Re. Per la Sardegna la realizzazione della diga del Tirso è un fatto di eccezionale portata storica.
E in essa c’è tutto “storia, politica, tecnica e finanza”. L’Oristanese ricorda quelle belle giornate festose con un convegno, sabato 6 ottobre, ore 17.00, all’ Hosan (Hospitalis Sancti Antoni). Moderato dal giornalista Umberto Cocco, presente il sindaco di Ula Tirso Ovidio Loi, coordinato da Maria Carmela Soru, studiosa e storica terralbese.