Il tema sviluppato nell’edizione 2018 di Parlare di Cinema sarà “All’ombra dei ciliegi: Sguardi sul cinema giapponese – 日本映画 Nihon eiga” e si svolgerà da lunedì 22 a venerdì 26 ottobre dalle ore 16 alle ore 20 nei locali del Centro Servizi Culturali in via Carpaccio 9 a Oristano.
Il seminario, come negli anni precedenti, sarà curato da Bruno Fornara, critico di “Cineforum”, docente di cinema alla Scuola Holden di Torino e selezionatore alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
Siamo davvero spettatori lontani. E lo siamo ancora oggi, sessant’anni dopo la scoperta occidentale del cinema giapponese con Rashomon di Kurosawa Akira (prima il cognome, poi il nome: così fanno i giapponesi), Leone d’Oro a Venezia nel 1951 e Oscar per il miglior film straniero. Siamo, certo, distanti per cultura, modi d’essere, lingua. Il Giappone è un altro mondo, altri costumi morali e civili (anche altri costumi nel senso di abiti). Quando ci càpita, raramente, di incontrare un film giapponese restiamo sempre un po’ impacciati. Anche il grande cinema classico giapponese è, per i più, un territorio quasi sconosciuto. C’è qualcosa di Kurosawa: i suoi samurai, le geishe, i poveri contadini contro i signori feudali. Ma dello stesso Kurosawa non si conoscono i film sul Giappone del dopoguerra come il magnifico Vivere (1952). Ancora meno sono gli spettatori che amano i film di Mizoguchi Kenji. Chi andava ai cineforum potrebbe ricordare i suoi Vita di O-Haru, donna galante (1952) e I racconti della luna pallida d’agosto (1953). Ma quanti film del grande Mizoguchi sono rimasti pressoché sconosciuti. Un terzo, grandissimo autore come Ozu Yasujiro, maestro di storie familiari, è stato introdotto in Europa soltanto negli anni Sessanta: e la responsabilità di questa conoscenza molto ritardata è degli stessi giapponesi che hanno sempre ritenuto Ozu regista troppo giapponese e per questo non mandavano i suoi film in Occidente, neppure ai festival. Infine, un quarto autore fondamentale come Naruse Mikio è arrivato in Europa solo negli anni Ottanta e in Italia resta ancora pressoché sconosciuto. Con questi quattro magnifici registi comincia la nostra avventura, il nostro approccio a un universo distante che si rivelerà più vicino a noi di quanto si possa pensare. Idee e figure tipicamente giapponesi sono entrate, silenziosamente, nella nostra cultura. Qualche esempio: il sentimento del shisei, che comprende insieme la doppia vicinanza (non opposizione!) tra “vita e morte”; l’idea del “ritorno alla terra”; il vivere secondo una “postura naturale”, shizen-hontai; l’essere sospesi in quella particolare modalità interiore del mono no aware, che indica la consapevolezza della precarietà delle cose e il lieve senso di rammarico che comporta il loro trascorrere. Siamo un po’ giapponesi, senza saperlo.
E il cinema giapponese continua a proporre nuovi e bravi registi e sempre nuove avventure. Anche in un territorio particolare, quello del cinema di animazione. Miyazaki Hayao è conosciuto e amato anche da noi. Si alza il vento (2013) dovrebbe essere il suo ultimo film: ma noi speriamo che ci ripensi. I film di Miyazaki sono avventure volanti e libere, sono opere di meraviglia e di gioia. C’è un altro autore che, in questi nostri anni, ha saputo rivisitare e rinnovare il cinema classico, quello di Ozu soprattutto. È Kore-Eda Hirokazu. Storie di famiglie, di legami che si interrompono e poi riprendono. Tre figlie grandi scoprono una sorellina che non conoscevano: Little Sister (2015) è la tenerezza fatta film.
Gian Piero Pinna