“Amministrative Sarde 2017. La doppia preferenza di genere, risultati e prospettive”, curato da Maria Francesca Mandis e Luisa Marilotti, pone l’accento sulla questione delle pari opportunità, dei diritti contesi. Uno studio approfondito che, in più punti, lascia ampi margini di riflessione.
Ai fini della piena attuazione del principio della parità di genere, che trova il suo fondamento negli articoli 3 e 51 della Costituzione, nel corso della XVI legislatura sono state approvate alcune importanti leggi: la legge n. 120/2011, che riserva al genere meno rappresentato almeno un terzo dei componenti dei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa e delle società pubbliche; la legge n. 215/2012, volta a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nelle amministrazioni locali, che modifica oltretutto il sistema elettorale dei comuni, introducendo la doppia preferenza di genere; la legge n. 56 del 26 aprile 2014, cosiddetta legge Delrio, prevede la norma antidiscriminatoria secondo la quale nelle giunte dei Comuni con oltre 3.000 abitanti ciascuno dei due sessi dev’essere rappresentato almeno al 40%.A distanza di sessant’anni dall’elezione del primo Consiglio Regionale della Sardegna verrà applicata, per la prima volta, la norma sulla “doppia preferenza di genere”, approvata dal Consiglio Regionale il 21 novembre 2017. La stessa prevede la candidatura nelle liste di un egual numero di uomini e donne, il 50% per ciascun genere.
Il lavoro che ci apprestiamo ad approfondire questa sera, curato da Maria Francesca Mandis e Luisa Marilotti, espone uno studio dettagliato, attraverso rilevazioni tratte dai siti ufficiali delle Amministrazioni Comunali, sulla presenza delle consigliere elette seguendo il criterio di ripartizione tra Comuni al di sopra e al di sotto dei 5.000 abitanti.
Il volume di riferimento, presentato contestualmente alla “Carta degli Impegni per la Parità”, presso l’Aula Magna della Facoltà di Scienze Economiche, Giuridiche e Politiche di Cagliari, ha visto la partecipazione di Andrea Deffenu, Professore ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico. Abbiamo chiesto, alla curatrice del testo, di illustrarci gli esiti dello studio.
Qual’è il sunto della ricerca?
“Abbiamo ritenuto opportuno risalire all’approvazione della norma della doppia preferenza nei comuni con oltre 5.000 abitanti, ad iniziare dalla riforma elettorale del 1993 che prevedeva una serie di misure delle quote di lista in favore di una maggiore presenza delle donne consigliere. Si parlava di elezione dei Comuni, delle Province e del Parlamento. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 422 del 1995, dichiarò illegittime le quote di lista, ponendo così un freno all’avanzata delle donne. La sentenza ha suscitato un discreto dibattito anche se la Corte aveva però suggerito ai partiti di modificare gli statuti e fare in modo che nelle liste venissero indicate più donne. Nel frattempo sono avvenute delle modifiche Costituzionali tra cui l’Art. 51. Otto anni dopo, nel 2003, la stessa Corte si pronunciò diversamente rigettando il ricorso del Governo contro la legge elettorale della Val d’Aosta che prevedeva l’accesso per entrambi i generi alle consultazioni elettorali. Questo potrebbe essere visto come un primo passaggio. La Regione Campania, nel 2009, adottò il sistema della doppia preferenza andando a sostituire la preferenza unica. A seguito dell’impugnazione del Governo la Corte Costituzionale si è espressa nel 2010 ritenendo la doppia preferenza legittima e anche doverosa. Dopo questa sentenza, il Parlamento approvò, nel 2012, una legge che prevedeva la doppia preferenza nei Comuni al di sopra dei 5.000 abitanti. Successivamente, nel 2016, la stessa norma è stata prevista anche per le Regioni. L’Art. 3 della Costituzione informa sul diritto all’uguaglianza di tutti i cittadini, senza distinzione di sesso ed il secondo comma sottolinea il compito della Repubblica in materia di rimozione degli ostacoli che impediscono le pari opportunità. Un principio generale che la prassi non ha mai applicato. C’è stato quindi bisogno, negli anni, di modificare le leggi, e ciò è stato possibile anche attraverso i pronunciamenti della Corte Costituzionale e dei Tribunali Amministrativi, che hanno censurato le giunte non rispettose dell’equilibrio di genere. Un traguardo che altri paesi hanno raggiunto prima di noi e che noi abbiamo ottenuto con ritardo soltanto adesso grazie anche al protagonismo delle donne“.
In che direzione si è spostata la ricerca nell’ambito della parità di genere?
“Per quanto riguarda i risultati dello studio condotto è emerso che nelle elezioni Amministrative Sarde del 2017, che hanno interessato 64 Comuni, 1/6 degli Enti Locali, nei Comuni dove si è votato con il sistema della doppia preferenza le consigliere elette hanno raggiunto la percentuale del 42,58%. Un grande avanzata delle donne che hanno più che raddoppiato la loro presenza rispetto alle precedenti elezioni. E’ stato verificato che tutti i Comuni hanno rispettato la soglia di almeno il 40% di presenza di entrambi i generi nella composizione delle giunte. Infine si è verificato quante sindache fossero state elette e quante vicesindache nominate. I risultati dello studio vogliono dimostrare che se cambiano le regole elettorali ci può essere una maggiore presenza delle donne nelle istituzioni“.
Daniele Fronteddu