Diritti dei Minori. Bambini e ragazzi spesso vittime di ingiustizie, incomprensioni: questo è il prezzo dell’emarginazione. Fatti che non trovano parole atte a definire le sensazioni che possono provare.
Ci si sofferma sempre troppo poco ad ascoltarli, ascoltare le loro reali necessità. A questo si dedica l’Autorità Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza, nella persona di Grazia Maria De Matteis, che attraverso politiche di divulgazione di programmi e attività che pongono al centro l’interesse per il benessere dei minori, opera costantemente al fine di favorire, realizzare, vigilare sulle diverse forme di tutela degli stessi.Nell’ambito di studio dei fenomeni sociali che attualmente vedono i minori al centro di discussioni e dibattiti sui loro diritti, sull’importanza della tutela e del sostegno alla famiglia al fine di soddisfare tutte le loro necessità, ci soffermiamo sul tema dell’emarginazione: una declinazione, spesso con conseguenze traumatiche, delle varie forme di discriminazione. Insieme alla Dott.ssa Grazia Maria De Matteis, Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, cerchiamo di delineare i contorni del problema dando una risposta, in seno alla normativa vigente, ad alcuni interrogativi, fornendo un quadro chiaro e completo sulla situazione.
Ieri si è celebrata la Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, 29° anniversario dell’approvazione della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, avvenuta il 20 novembre del 1989. Quali sono le difficoltà che spesso osteggiano lo sviluppo psicofisico di bambini e ragazzi?
“La Convenzione è stata sottoscritta da tutti i paesi eccetto che dagli Stati Uniti. La situazione dei bambini è diversa se ci riferiamo a paesi sottosviluppati o in cui sono presenti conflitti armati o a paesi dove vi è relativamente un clima di pace. A livello mondiale l’allarme si palesa spesso in maniera assai evidente, disastrosa: i bambini sono coinvolti in carestie, malattie, sfruttamento minorile, mancato accesso all’istruzione. Milioni di bambini.
Questo un problema globale che va necessariamente e doverosamente affrontato, e la Convenzione impegna tutti gli Stati a questo scopo. Il bambino ha diritto all’identità, alla salute, alla genitorialità, alla formazione scolastica, alla vita, e non in ultimo l’ascolto. La Convenzione appare come incompiuta, un progetto ancora non completato, oserei dire un utopia in via di realizzazione. Se rivolta a paesi più sviluppati, la stessa diviene strumento in grado di dare compiutezza ai punti previsti dai vari ordinamenti.
La Costituzione Italiana è antecedente alla Convenzione dei Diritti del Fanciullo, ma nonostante ciò delinea, fin dal principio, quelli che sono i diritti inviolabili dell’uomo dai quali si desumeranno in seguito le linee guida in materia di tutela dei minori. L’Articolo 27, in particolar modo, ricorda l’importanza della responsabilità delle pene stesse che devono dare luogo primariamente alla rieducazione del condannato. La Convenzione ribadisce così principi che sono già previsti dalla stessa Costituzione, e in riferimento all’ascolto, all’attenzione per le esigenze di bambini e ragazzi ha manifestato in più punti l’interesse ad attuare politiche di sostegno.
Il diritto all’ascolto, affermato dalla stessa Convenzione, è una norma che trova terreno nel nostro sistema civilistico, processual-penalistico, subendo gradualmente delle modifiche a livello legislativo, come nel caso della separazione fra coniugi: il minore ha diritto all’ascolto. Questo vale anche per i casi di adozione: il bambino ha diritto di poter dire se la famiglia che lo accoglie può mantenere i contatti con la famiglia d’origine, nel limite del raggiungimento di un raziocinio che gli permetta tale possibilità.
Il diritto all’ascolto si applica, e tengo a sottolinearlo, anche ai casi di minori sui quali ricade un procedimento penale, nell’atto di acquisizione delle prove, nelle forme e nei luoghi dovuti. La Convenzione di New York è quindi una riprova dello sviluppo democratico e del riconoscimento di questi diritti, nonostante ancora inattuata, rimane comunque un punto fermo nei nostri sistemi giuridici improntati al principio della legalità e dei diritti inalienabili dell’uomo“.
Proteggere i diritti dei bambini e garantire i diritti della popolazione under 18, specialmente delle bambine, è il primo passo per la promozione delle pari opportunità tra uomini e donne. L’educazione, la salute, la partecipazione sociale, gli spazi di vita (ambiente e abitazione), la protezione personale, i conflitti, l’accesso al lavoro, la creazione di capitale umano ed economico. In quale settore vi è più disparità ed un conseguente ritardo nel riconoscimento dei diritti tra i sessi?
“Nonostante i progressi fatti, nell’ambiente di lavoro e nella politica. Nella politica per un insieme di fattori che in parte sono da attribuire a blocchi legislativi del passato che non favorivano l’accesso delle donne alla carriera politica, descritto tradizionalmente come un sistema chiuso che ha visto sempre l’uomo all’apice. Attraverso l’applicazione della legge sulla doppia preferenza di genere abbiamo avuto risultati positivi in questo senso.
Nel lavoro viene ancora, nonostante leggi che prevedano all’interno dei consigli di amministrazione anche di società quotate in borsa la presenza del 30% di componente femminile, denunciato un salario ridotto, difficoltà nel raggiungimento di posizioni al vertice e difficoltà anche relative all’assunzione. Nonostante diverse normative lo prevedano, la donna sul lavoro marca un rendimento più basso per via del diritto alla maternità, e come tale di questo si tiene conto. Nella scuola non ci sono differenze evidenti, se non culturali tra maschi e femmine“.
L’Italia è il paese dell’UE che segna la regressione maggiore in tema di politiche inclusive per i bambini e le donne. Con 59 punti e la 27° posizione continua ad allontanarsi dalla media della UE a 28 Stati (71 punti) a cui sembrava invece avvicinarsi tra il 2015 e il 2017, quando oscillava tra i 66 ed i 69 punti. L’allora discreta posizione in classifica era sintomo di una “rendita di capitale inclusivo” che si stava erodendo, non di un paese pronto a fare uno scatto in avanti nella promozione di politiche d’inclusione. Può lo Stato continuare a garantire l’efficienza degli attuali servizi, nell’ottica della promozione dell’inclusione sociale, a fronte di un sistema economico ancora incerto?
“Penso che lo scenario politico in questo momento, attraverso una presunta esigenza di sicurezza e di equilibrio della ricchezza, ci porterà ad una regressione anche in questi termini. L’inclusione sociale che prenda in considerazione anche culture diverse dalla nostra si trasforma in ricchezza. Ricchezza di conoscenze, di esperienze, di lavoro. Uno Stato democratico deve necessariamente tendere a questo fine, lasciando da parte discorsi sulla sicurezza che finiscono per diventare dei pretesti per la non realizzazione di politiche a favore della multiculturalità“.
Guerre, conflitti e terrorismo hanno conseguenze devastanti sulle condizioni economiche e sociali di un paese. Bambini, adolescenti e donne ne subiscono per primi le conseguenze, diventando testimoni, o peggio vittime, di conflitti bellici. Le guerre e i conflitti ledono i diritti delle persone, a partire dal diritto alla salute e all’educazione. In che modo il mancato accesso all’istruzione rappresenta un motivo di esclusione, e cosa può significare per un bambino essere “escluso”?
“Il bambino che partecipa o assiste a situazioni drammatiche è un bambino che riproporrà problemi nella sua vita, in quanto traumi che lo espongono a sofferenze immediate nascoste che possono nel tempo trasformarsi in psicopatologie. Molti dei ragazzi stranieri non accompagnati, oggetto di osservazione, che arrivano dopo aver affrontato guerre e sofferenze, appaiono in un primo tempo felici per il loro arrivo, ma in un secondo manifestano quelli che sono stati i traumi vissuti nei loro paesi di provenienza.
Nel nostro paese possiamo parlare di esclusione in riferimento a contesti scolastici nei quali, ad esempio, vi è l’assenza di un insegnante attento alle esigenze degli alunni. Questa è una delle possibili cause, insieme alla presenza di compagni prevaricanti, che portano all’esclusione di un bambino. Il docente, in qualità di educatore, ha la responsabilità della tutela degli alunni e nei confronti di eventuali danni creati da questi o comportamenti di tipo bullistico tra gli stessi. Il dovere diretto dei genitori, che svolgono il ruolo educativo primario, consiste nella correzione di tali atteggiamenti“.
Nel percorso tematico “Per una scuola inclusiva: un percorso di lettura e filmografico” a cura del Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza, del Centro Regionale di Documentazione per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Toscana e l’Istituto Innocenti di Firenze, Maurizio Parente, pedagogista, espone le linee guida per il diritto allo studio degli alunni e delle alunne fuori dalla famiglia di origine, ricordando che: “E importante guardare al paradigma inclusivo non solo come valore a cui tendere, ma anche come vero e proprio diritto di giustizia sociale, un diritto in grado di garantire uguaglianza ed equità, il riconoscimento reciproco di somiglianza/diversità e, soprattutto, il fatto che, in quanto persone, ognuno è titolare di diritti e doveri indipendentemente dalle differenze di cui è portatore”. Qual’è il ruolo educativo degli insegnanti nella trasmissione di questi valori e nello sviluppo del principio di accettazione nei confronti di bambini e ragazzi?
“Il compito dell’insegnante è quello di accogliere, proteggere ed educare. Tutto ciò che da parte dell’insegnante richiede attenzione dev’essere curato da lui allo stesso modo. Il bambino o il ragazzo portatore di deficit di tipo linguistico o ambientale deve essere supportato ed aiutato a superarli. Per i bambini non esistono differenze, ma favorire lo sviluppo del principio di rispetto in loro significa creare una generazione nuova, di adulti che sapranno padroneggiare gli istinti e riconosceranno il valore della diversità culturale“.
Quali propositi rafforzare al fine di favorire l’inclusione sociale?
“Sicuramente rispondere alle esigenze delle famiglie che versano in condizioni di disagio economico e sociale favorendo attività collaterali allo studio per i propri figli: attività sportive, ludiche, musicali. Favorire la realizzazione, all’interno delle scuole, della figura del mediatore sociale, un soggetto che possa individuare situazioni di conflitto e di sofferenza, facendole emergere perché possano essere riconosciute e comprese. In ogni classe ci sono delle diversità, ed il compito del mediatore sarà quello di rilevarle e mostrare ai bambini o ai ragazzi un nuovo punto di osservazione“.
Daniele Fronteddu