E’ uscito il 27 settembre il secondo album in studio della cantautrice fiorentina Giulia Ventisette, “Stanze”, distribuito dall’etichetta discografica sarda “La Stanza Nascosta Records”.
“Stanze” arriva dopo “L’inverno del cuore” (2015) ed è stato preceduto dal singolo “Tutti zitti”, accompagnato dal videoclip ufficiale, girato presso la “Scuola di Musica Blue Note” (Campi Bisenzio, FI).
Il brano, sulla frustrazione dei lavoratori precari deboli e ricattabili, si è inoltre già aggiudicato il “Premio della Critica”durante il concorso per voci emergenti “Limatola Festival”ed il “Premio Under 35” di “Voci per la libertà-Una canzone per Amnesty”.
Abbiamo fatto una chiacchierata con Giulia Ventisette, dalla critica considerata una delle voci più interessanti del nuovo cantautorato.
Nel 2018 inizia la sua collaborazione con l’etichetta sarda “La Stanza nascosta Records”.
Quanto è importante oggi avere alle spalle un’etichetta che supporta e sostiene il lavoro artistico del singolo?
Ciao a tutti!
Indubbiamente la presenza di un’etichetta discografica che supporta il lavoro di un cantautore o di una band “emergente” è fondamentale, ma allo stesso tempo bisogna fare molta attenzione a non voler avere un’etichetta a tutti i costi. Dico questo per mettere in guardia chi legge, nel caso ci sia tra loro qualche artista. È di fondamentale importanza saper riconoscere chi fa questo lavoro per dare un’opportunità vera a chi se lo merita e chi lo fa solo per mettersi in tasca dei soldi.
In passato ho avuto una pessima esperienza proprio per questo motivo ed è per questo che poi ho impiegato molto tempo per cercare chi facesse davvero al caso mio, finché mi sono imbattuta nelle persone di Salvatore e Claudia, che oltre ad essere molto professionali sono anche molto “umani”, e di questo non finirò mai di ringraziarli, perché non è così scontato come può sembrare.
Lei si dichiara “appassionata di poesia” fin da giovanissima. Ha dei poeti di riferimento?
Ho sempre amato la letteratura in generale, sia la prosa che la poesia, e in passato ho raccolto un gran numero di poesie, che custodisco gelosamente a casa.
Sono appassionata di opere malinconiche, Leopardi ha qualcosa di magico. Forse lui è stato il mio primo riferimento, il più “certo”. Perché Leopardi non è un semplice poeta, dalle sue opere trasudano il suo bisogno di vita e tutte le sue paure. È un uomo, oltre che un poeta. Leggerlo alleggerisce dal senso di incompletezza che un essere umano prova di fronte all’infinità del mondo: è un po’ come avere di fianco il proprio migliore amico, sapendo che, nonostante sia come te, ti salverà, da tutto e da tutti.
Da poco ha pubblicato il suo secondo lavoro in studio, “Stanze”. A livello di sonorità e di tematiche cos’è cambiato rispetto al precedente “L’inverno del cuore” (2015)?
Stanze rispetto a L’inverno del cuore? Forse farei prima a elencarne i punti in comune.
È difficile fare un paragone.
L’inverno del cuore è stato il primo album, un esperimento nato da alcuni avvenimenti bui della mia vita, da cui avevo la necessità di “liberarmi”. Non avevo ancora esperienza in questo settore, ma avevo diverse cicatrici addosso che avevano bisogno di cure (un amore impossibile, uno zio che se ne è andato troppo presto, un’amica quasi coetanea malata di cancro…). Le sonorità di quell’album sono abbastanza legate al POP ed è un album molto meno suonato rispetto a Stanze. Sicuramente è stato un bell’esperimento, che mi ha concesso anche alcune soddisfazioni importanti, ma non mi sono mai sentita completamente rappresentata da quel lavoro, nonostante lo avessi realizzato completamente da sola, assieme al mio arrangiatore di fiducia, Franco Poggiali, forse proprio a causa della mia inesperienza, che non mi ha permesso di mettere a fuoco la mia vera personalità.
Dopo qualche mese dalla pubblicazione de L’inverno del cuore ho iniziato a lavorare ai brani nuovi, con un approccio molto diverso alla scrittura e ai temi da trattare. Un approccio più da cantautore: io che da sempre ascolto i cantautori italiani, dovevo confrontarmi con loro. Ed ecco che, a partire da Burattino, sono nate 12 storie, tante parole, tante figure, tanti temi da trattare, ironia, malinconia, accusa: un lavoro completamente diverso, che mi ha impegnata per 2 anni e mezzo, ma che mi ha permesso di ottenere proprio il risultato che volevo.
Con il brano “Burattino” ha ottenuto la Finale al concorso nazionale per cantautori “Limatola Festival” (BN), la vittoria del concorso per cantautori “Fornaci In…canto” (LU), oltre al prestigioso PREMIO SALA STAMPA e la Semifinale Nazionale di Area Sanremo. Da poco è stato pubblicato sulla piattaforma you tube anche il videoclip ufficiale del singolo…quanto è importante per lei questo brano?
Come ho spiegato poco fa, Burattino è il brano che ha “aperto le danze” di questo nuovo lavoro in studio.
È un po’ il padre di tutti gli altri brani, il punto di riferimento, e mi ha permesso di rinnovarmi completamente, sia dal punto di vista artistico, sia dll punto di vista umano. Di conseguenza è sicuramente un brano a cui sono legata in modo particolare ed è per questo che è anche quello con cui apro i miei concerti.
Tra le tante cose, ha preso parte alla rassegna “Anatomia Femminile” al Mei di Faenza, organizzata dal critico Michele Monina. Cosa le ha lasciato questa esperienza? Cosa pensa, in generale, della critica musicale in Italia?
Esibirsi al MEI è qualcosa di speciale, c’è una bella atmosfera di scambio e condivisione. In particolare in questo caso, poiché assieme a me si sono esibite altre 19 cantautrici ed è stata una bella opportunità per conoscersi e provare a intrecciare i nostri percorsi.
Michele è molto bravo in questo, perché si impegna per trovare le situazioni giuste per far conoscere la musica emergente ad un pubblico che rischia di anestetizzarsi davanti alla TV.
La critica musicale purtroppo è schiava delle logiche di mercato ed è per questo motivo che io apprezzo moltissimo l’operato di Michele Monina, che rompe gli schemi preimpostati e rappresenta quindi la voce fuori dal coro, che fornisce a chiunque moltissimi spunti di riflessione.
La sua più grande ambizione?
La più grande ambizione che ho è essere compresa. Sembra una banalità, ma non è affatto scontato.
In fondo, si fa (o si prova a fare questo mestiere) per l’esigenza di spiegare qualcosa che nasce da dentro e che è difficile esprimere in altre forme.
E d’altra parte, come dice anche Cremonini: “Ti sei accorta anche tu, che siamo tutti più soli?”…La musica è un tentativo di riavvicinamento. C’è un estremo bisogno di contatto umano.
La Redazione