Storie di Donne. Il coraggio delle donne di “raccontarsi”, di raccontare le loro storie, le loro vicissitudini, fa da sfondo alla serie di incontri previsti dal programma di “Viva la Libertà! – Cagliari contro la Violenza”, dal 25 ottobre al 27 novembre in diverse sedi della città.
Ci è sembrato di cogliere un velo di malinconia negli occhi della nostra ospite, la Dott.ssa Angela Quaquero, Psicologa e Psicoterapeuta, mentre esponeva un problema così importante, delicato, suscettibile di discussioni polverose pressoché inutili che, quasi mai riescono a dare l’idea di quel che realmente accade, spesso, fra le mura domestiche. Proprio in questi giorni, nella città di Cagliari, un susseguirsi di iniziative relative alla violenza sulle donne richiama la nostra attenzione sui temi fondamentali della vita, quali il rispetto, la condivisione, la tolleranza, l’accettazione.Si trattiene poco dopo l’intervista, con la sua innata gentilezza la Quaquero, per quattro chiacchiere sui problemi, le difficoltà incontrare dalle donne, con qualche accenno alla sua esperienza di Psicologa.
Un argomento sentito, ancora troppo poco ascoltato e recepito da quegli stessi uomini che, incuranti dei bisogni delle mogli, delle compagne, delle amiche, lasciano che passi “in secondo piano”.
La consigliera Nazionale di Parità effettiva, Francesca Bagni Cipriani, e la sua supplente, Serenella Molendini, hanno inviato una lettera di solidarietà al Rettore della Scuola Superiore Normale di Pisa, Vincenzo Barone, a seguito del grande risalto dato dagli organi di stampa a una pubblica esternazione dello stesso, di denuncia e biasimo nei confronti di alcuni comportamenti che si manifestano quando viene proposto il nome di una donna per un posto di docente. Le consigliere nazionali hanno inteso esprimere vicinanza anche a nome di chi, come le consigliere di parità, combatte in prima fila contro le discriminazioni di genere. Dalla lettera si legge: “Noi consigliere combattiamo tutti i giorni sul territorio i problemi derivanti dalle varie forme di discriminazione che si generano proprio col permanere nella nostra società di stereotipi lesivi della dignità della persona e portano danno alla crescita culturale e alla formazione delle competenze, primo e più importante obiettivo dei percorsi scolastici, dalle materne alle università“. Qual’è il motivo che sta alla base della discriminazione di genere?
“Il potere. Se si cedono spazi nei posti dirigenziali, di gestione, come quello di docente ordinario all’interno delle università, si cede il potere. Chi ha il potere non lo vuole cedere“.
A partire dal 2014, grazie alla legge n. 119 del 2013 sul cosiddetto “femminicidio”, il governo sostiene l’apertura di nuovi centri antiviolenza e case rifugio, nonché il potenziamento di quelle esistenti, trasferendo risorse alle regioni e alle province autonome con cadenza biennale o annuale. Nel corso degli ultimi 4 anni, l’utilizzo dei finanziamenti previsti dalla legge n. 119 del 2013 sul femminicidio e di quelli ulteriormente stanziati per l’apertura di nuove strutture e il rafforzamento di quelle esistenti ha comportato un significativo aumento di centri a sostegno delle vittime. Le case rifugio sono passate da 163 nel 2013 a 258 nel mese di ottobre 2017. Nel medesimo periodo, i centri antiviolenza sono cresciuti da 188 a 296. I centri antiviolenza dislocati su tutto il territorio italiano, possono garantire una risposta efficace ai bisogni di queste donne?
“Possono dare una prima risposta efficace. Il problema dei centri antiviolenza è che in seguito al primo soccorso è che bisogna mettere la donna in condizione di camminare con le proprie gambe e il reddito di libertà offre questa possibilità. Se non aiutiamo la donna che fugge dalla propria abitazione perché il marito è violento non disponiamo per lei un aiuto che possa renderla indipendente dal punto di vista economico“.
In data 30 gennaio 2018 sono state pubblicate le linee guida nazionali per le aziende sanitarie e le aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza. Il testo reca “il percorso per le donne che subiscono violenza dovrà garantire una tempestiva ed adeguata presa in carico delle stesse a partire dal triage e fino al loro accompagnamento/orientamento, se consenzienti, ai servizi pubblici e privati dedicati presenti sul territorio di riferimento, al fine di elaborare con le stesse un progetto personalizzato di sostegno e di ascolto per la fuoriuscita dall’esperienza subita”. Quali connotati assume la violenza in riferimento alla donna e quali sono le conseguenze psicologiche a cui vanno incontro?
“La violenza può essere fisica, sessuale o non sessuale e psicologica. Noi ci battiamo affinché la stessa violenza psicologica venga riconosciuta al pronto soccorso. Una crisi di panico che una donna sperimenta dopo un evento traumatico non è ancora una violenza ammessa con il triage. Il marito può anche non toccarla con un dito, ma maltrattarla intensamente a livello verbale che potrebbe scatenarle una crisi d’ansia. Riteniamo che la donna in questione, arrivata al pronto soccorso, debba essere ricevuta come codice rosso e trattata con il triage allo stesso modo di chi subisce maltrattamenti fisici o sessuali. Le conseguenze di una violenza sulla donna è devastante e dura per decenni. Sono traumi molto importanti, prevedibili nella loro gravità, imprevedibili nelle loro attuazioni in futuro“.
Quali domande devono porsi gli uomini: i mariti, i compagni, gli amici?
“Tre domande: perché c’è questa rabbia, quest’aggressività dentro di me? Perché scelgo di scaricarla su mia moglie? Perché non sono capace di reggere una risposta diversa da quella che mi aspetto? Ricordiamo che la violenza continuata fra le mura domestiche diventa una costante, ed è dovuta spesso a problemi incamerati dall’esterno. Il no della donna all’uomo che le arreca danno conduce al femminicidio. Siamo nell’ambito del potere/possesso“.
Il piano strategico nazionale della violenza maschile contro le donne 2017-2020 prevede una strategia di intervento caratterizzata da una logica di partenariato e di politiche integrate di responsabilizzazione da parte di tutti coloro che sono chiamati a darvi attuazione. Il documento ripropone i tre assi strategici (prevenire; proteggere e sostenere; perseguire e punire) della Convenzione di Istanbul, oltre a un asse trasversale di supporto all’attuazione relativo alle politiche integrate. Quanto è importante l’impegno delle istituzioni in termini di prevenzione?
“La principale difficoltà legata alla prevenzione è dovuta al fatto che la maggioranza delle violenze deriva da un errata educazione, rapporti familiari compromessi, diritti e poteri che non esistono all’interno delle famiglie stesse. Quando ci troviamo davanti alla violenza di un uomo su una donna, siamo davanti ad un uomo la cui età può oscillare tra i venti e i cinquant’anni, ed è inverosimile poter cambiare, di punto in bianco, un tipo di educazione ricevuta fin dall’infanzia. Parlare di prevenzione primaria diventa assai complicato. Oggi stanno nascendo i gruppi dedicati al maltrattante che offrono un sostegno, un supporto per comprendere la gravità delle sue azioni, ma rimane pur sempre un adesione volontaria sporadica e, in aggiunta a ciò, detti gruppi sono ancora molto pochi. La vera difficoltà nasce dal fatto che il maltrattamento dentro casa è ancora diffuso, tollerato e giustificato. Si può e si deve lavorare in termini di prevenzione nelle scuole, nello sport, nelle parrocchie e in tutti i luoghi di aggregazione giovanile“.
Qual’è la funzione dei gruppi di aiuto rivolti ai maltrattanti?
“Sono gruppi guidati da uno psicologo che radunano, accolgono uomini che hanno compreso la gravità delle loro azioni e desiderano rimediare. Questo accade spesso perché le mogli stesse li mettono nelle condizioni di scegliere, ma anche quando gli stessi si rendono conto, dopo un matrimonio fallito, di avere avuto una responsabilità nella questione“.
L’aiuto, il sostegno dato ad un uomo violento con il rischio che ceda alla recidività, potrebbe essere un rischio per la donna stessa. Cosa fare in questo caso?
“Noi riteniamo che in un contesto di violenza non vi debba essere tentativo di mediazione, in quanto sarebbe un ulteriore violenza. La prima soluzione è l’allontanamento della donna dall’abitazione in attesa di una soluzione alternativa“.
Daniele Fronteddu