Demandiamo ad operatori della salute pubblica, quali psicologi e psicoterapeuti, lo scopo di aiutare le persone ma continuiamo a non rispondere al quesito fondamentale: Cosa tiene in piedi il sistema meccanicistico fondato sulla coercizione, sulla forza? Qual’è la necessità che spinge a chi “detiene” l’apparenza del potere di poter esercitare questo stesso nei confronti di un altra persona al momento in cui non è stato realizzato il vero senso dei princìpi universali che paradossalmente ognuno desidera perseguire, autorità comprese?
Qual’è lo scopo dell’autorità, quindi? Demandiamo a psicologi-psicoterapeuti la possibilità per competenze, professionalità, “umanità” della riuscita, dell’aiuto verso le persone più bisognose per dargli la possibilità di risanare le ferite del passato, dovute ai condizionamenti quando ancora quelle stesse istituzioni-autorità che dovrebbero fungere da esempio-specchio dei bisogni del singolo, spesso voci dimenticate delle quali pochi o nessuno riesce ad accorgersi continuano a reiterare un sistema, antico ed inefficace che non risponde più ai princìpi universali regolatori della vita.
Si tratta di un paradosso quando affermiamo che crediamo nel cambiamento e, contemporaneamente, tendiamo alla paura, temendo che attraverso il nuovo andiamo a perdere qualcuno o qualcosa di molto importante nella nostra vita, relativamente al passato, alle affezioni. Bisognerebbe ricordare nulla ci appartiene in questa dimensione e, per questo motivo, non abbiamo alcun motivo di continuare ad attaccarci, spasmodicamente, rifiutandoci di guardare alla verità dei fatti: è importante trovare un equilibrio fra quel che siamo realmente e quel che desidereremmo vedere all’esterno.
Se dovessimo guardare unicamente all’esterno vedremo un sistema-comunità concepito migliaia di anni fa in continua evoluzione, sotto ogni aspetto ed un sistema giudiziario (penal-processuale) a sostegno di un architettura antropologica, sociale ancora non abbastanza incentivata dal punto di vista della crescita personale. D’altra parte, persone che, nonostante l’eterno desiderio di convivenza e non riuscendo ad utilizzare canali d’espressione ottimale per meglio veicolare le loro possibilità, non riescono a trovare punti d’accordo e tendono a far collassare qualsiasi genere di relazione, di realtà, idea positiva, semplicemente per l’inconsapevolezza dovuta all’attaccamento, disfunzionalità dei vecchi schemi psicologici, comportamentali.
Scopriamo l’Amore insieme ma senza la necessità all’attaccamento, realizzando la presenza di tutti quei passati blocchi dell’infanzia che hanno fatto in modo tendessimo all’attaccamento a qualcosa, a qualcuno: questo esempio lo riscontriamo in qualsiasi contesto sistemico atto alla decisione, laddove necessitiamo di un cambio di rotta che veda al centro di ogni interesse la valorizzazione delle potenzialità del singolo ma, prima ancora, la discutibilità dei mezzi messi a disposizione come unico ed inviolabile modo per arrivare alla verità e, più in profondità o, se vogliamo, più in superficie, l’abbattimento dell’apparenza per mezzo della liberazione dalle catene mentali che tendono ad imprigionare le emozioni spesso sacrificate.
Il modello d’esempio per tutti potrebbe essere anche un bambino, ma quello stesso bambino che il sistema classifica come “immaturo” o “incapace di scegliere” somiglia davvero tanto a quell’adulto che tutti vorremmo essere, spesso incapace di ri-scoprire le proprie emozioni, guardarsi abbastanza in profondità e scegliere prima per se stesso, per un mondo nettamente migliore rispetto al precedente. Scegliere di mettere a nudo le emozioni, il vecchio essere davanti a tutti, mostrarsi a se stessi per quello che esattamente si è, rappresenta il primo vero passo verso la libertà.
Daniele Fronteddu