Il fascino dell’utopia con “Ultimo Chisciotte” del Teatro del Carretto nell’Isola sotto le insegne del CeDAC: debutta in prima regionale mercoledì 9 gennaio alle 21 al Teatro Comunale di Sassari l’immaginifico spettacolo liberamente tratto dal romanzo di Miguel de Cervantes Saavedra con adattamento e regia di Maria Grazia Cipriani per un’inedita e poetica versione delle (dis)avventure del celebre hidalgo e del fido scudiero all’inseguimento di un ideale.
Sotto i riflettori Matteo De Mojana, Stefano Scherini e Ian Gualdani per un viaggio tra le righe di uno dei capolavori della storia della letteratura, tra temerarie battaglie contro i mulini a vento e altre eroiche imprese ispirate ai poemi cavallereschi, tra vita e sogno, verità e follia.
La tournée continua giovedì 10 gennaio alle 21 al Teatro Grazia Deledda di Paulilatino e infine venerdì 11 gennaio alle 21 al Teatro Comunale di San Gavino Monreale.
Viaggio fantastico sulle tracce del “cavaliere dalla trista figura” con “Ultimo Chisciotte” del Teatro del Carretto, liberamente tratto dal romanzo di Miguel de Cervantes Saavedra con adattamento e regia di Maria Grazia Cipriani in cartellone (in prima regionale) mercoledì 9 gennaio alle 21 al Teatro Comunale di Sassari, poi in tournée nell’Isola – giovedì 10 gennaio alle 21 al Teatro Grazia Deledda di Paulilatino e venerdì 11 gennaio alle 21 al Teatro Comunale di San Gavino Monreale – per la Stagione de La Grande Prosa 2018-19 organizzata dal CeDAC nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna.
Una pièce visionaria, onirica e poetica – interpretata da Matteo De Mojana, Stefano Scherini e Ian Gualdani – per riscoprire l’immortale personaggio scaturito dalla penna dello scrittore spagnolo, simbolo della tensione verso un ideale, capace di sfidare l’ignoto e i temibili giganti, ovvero in lotta contro i mulini a vento, sempre pronto a combattere per una giusta causa, in difesa dei deboli e degli oppressi, senza mai arrendersi o cedere alla stanchezza, disposto perfino «a marciare all’inferno per una causa divina».
Un singolare eroe alla rovescia, emulo degli antichi cavalieri e delle loro magnifiche gesta, trasfigurate in epici poemi, ignaro del ridicolo e dello stupore suscitato dalle sue stravaganti imprese, che da «scalcagnato vagabondo dell’impotenza» – come scrive la regista nelle note – «continua ad inseguire l’utopia, facendola giocare con la realtà».
La tragicomica ed emblematica storia de “El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha” – al di là del dichiarato intento satirico dell’autore – attraversa le epoche e le mode per dar corpo alle più sfrenate fantasie degli spiriti elevati e dei rivoluzionari desiderosi di migliorare il mondo e disposti a sacrificarsi e esporsi in prima persona in nome di principi e valori inderogabili.
Perdutamente innamorato dei libri – oltre che della bella Dulcinea – don Alonso Quijano intraprende il periglioso viaggio che lo porterà a scontrarsi con le smisurate pale, che egli scambia per le braccia degli spietati giganti, nonché con “eserciti” di pecore (e rispettivi pastori), affrontando in duello il sedicente Cavaliere degli Specchi e il Cavaliere della Bianca Luna, oltre a liberare prigionieri e affrontare leoni, senza mai lasciarsi distogliere dai propri propositi né dal miraggio della gloria.
Don Chisciotte incarna il potere della’immaginazione, che può riplasmare la realtà in base alle convinzioni o le aspettative, nascondere ciò che si preferisce non vedere o interpretare i fatti a piacimento: le batoste, le cadute, le sconfitte, pur così concrete, non bastano a disarmare l’animo del generoso hidalgo, né a scalfire le sue certezze su quali siano i suoi compiti e doveri di cavaliere.
Idealista e sognatore fin quasi all’ultimo respiro, alla fine delle sue straordinarie avventure egli non può che uscire di scena, come, in un gioco metateatrale, aveva saputo mescolare ad arte la vita e il teatro, facendo del mondo il palcoscenico per mirabili imprese a futura memoria.
Immancabile compagno – nella buona come nella cattiva sorte – Sancho Panza, giovane contadino dapprima sedotto dal miraggio della ricchezza, poi consapevole tramite tra epopea e concreta realtà, si lascia forse contagiare e trascinare in quel folle volo della fantasia, assume su di sé la responsabilità di ciò che ha appreso da testimone di tante stravaganze e fa propria la pazza saggezza dell’hidalgo, ne abbraccia a modo suo le cause – inevitabilmente – perdute.
La pièce racconta le intrepide azioni dell’uomo che, come recita l’epitaffio del suo amico Sansone Carrasco, ebbe «la gran ventura di morir savio e viver matto» con la cifra immaginifica della compagnia fondata nel 1983 da Maria Grazia Cipriani e dallo scenografo Graziano Gregori, con un rigoroso e originale percorso di ricerca «sulla linea della fusione e confusione tra meraviglioso e reale», da cui hanno preso forma spettacoli come “Biancaneve”, gli shakespeariani “Romeo e Giulietta” e Sogno di una notte di mezza estate” e le riletture di “Iliade” e “Odissea”, fino a “Pinocchio”, “Amleto”, “Giovanna al rogo” e “Le Mille e una notte”.
Così gli uccellini in gabbia diventano i carcerati, in una scena sobria ed essenziale – con musiche di Giacomo Vezzani, disegno luci di Fabio Giommarelli, scenotecnica di Giacomo Pecchia – dove ogni segno e gesto risalta in una raffinata grammatica scenica costruita sui corpi degli attori: una catinella diventa l’acuminata lancia in una lotta impari del protagonista contro le grottesche figure che abitano la sua mente, le fanciulle in pericolo son come disincarnate, con le loro movenze misteriose e sensuali ma il vero enigma – irrisolto – resta la bella e ineffabile Dulcinea, la donna dei desideri, l’ultimo miraggio.
“Ultimo Chisciotte” restituisce la malìa di un romanzo che scardina i generi e le categorie – letterarie e umane – per dar vita ad un personaggio indimenticabile, figura malinconica e grottesca, ma anche invincibile che ha ispirato, oltre alle opere liriche e al famoso balletto, numerose trasposizioni cinematografiche – da quella pionieristica di Lucien Nonguet (1903) alla versione di Georg Wilhelm Pabst (1933), ai films di Rafael Gil (1947), Grigori Kozintsev (1957) e Éric Rohmer (1965) e l’incompiuto “Don Quixote” di Orson Welles, a “The Man Who Killed Don Quixote” (2018) diretto da Terry Gilliam (dopo il fallimento di un primo tentativo di trasportare l’opera sul grande schermo, descritto nel documentario “Lost in La Mancha”).
Don Chisciotte è un eroe moderno, icona del coraggio e della nobiltà d’animo, della tenace lotta in nome di alti e irrinunciabili principi e senza contropartita, della tenacia e dell’incapacità di sottomettersi ai duri colpi della sorte: un idealista puro di cuore, personaggio anacronistico sulla cui determinazione nulla possono le lusinghe del vantaggio personale o la paura del ridicolo, il rischio del fallimento o lo scherno delle masse, forse l’unico che possa sconfiggere – anche in questi anni tragici – la “banalità del male”.
SCHEDA DELLO SPETTACOLO
Teatro del Carretto
Ultimo Chisciotte
liberamente tratto da Miguel de Cervantes
con Matteo De Mojana – Stefano Scherini – Ian Gualdani
musiche Giacomo Vezzani
luci Fabio Giommarelli
scenotecnica Giacomo Pecchia
assistente alla regia Jonathan Bertolai
adattamento e regia Maria Grazia Cipriani
“Sognare il sogno impossibile
Raggiungere la stella irraggiungibile
Amare in modo casto ed anche da lontano
Combattere per ciò che è giusto
Tentare quando le braccia sono troppo stanche
Essere disposti a marciare all’inferno
Per una causa divina
…Seguire quella stella
Non importa quanto sia priva di speranza
Non importa quanto sia distante…”
Il nostro “Ultimo Chisciotte”, scalcagnato vagabondo dell’impotenza, continua ad inseguire l’utopia, facendola giocare con la realtà.
Si apre il sipario sul fascino e la dannazione di quell’uomo che, come nel testo di Cervantes, si fa attore e personaggio per misurarsi con il “polverio” del palcoscenico come col polverio delle cose e del mondo, perduto tra la realtà rappresentata e quella autentica.
E Sancio? Personaggio quasi improvvisato rispetto a quello di Chisciotte, già psicologicamente costruito, è un giovanissimo “servo di scena”, leggero come un folletto che tra una capriola, un guizzo e uno sberleffo, cerca di capovolgere i valori del padrone dimostrandogli che ogni linea dritta nasconde un rovescio storto.
Ma il suo sarà un percorso che lo vedrà lentamente abbracciare il valore chisciottesco, come un discepolo che ha imparato e amato una lezione di vita dal proprio maestro fino a farla sua.
E farsi lui stesso ultimo Chisciotte, in un inno alla rinascita dell’utopia.
Il palcoscenico, nudo di supporti scenografici, munito esclusivamente degli elementi propri…graticcia, corde, scale, cantinelle, casse, costumi…specchio di quell’ambiguità dove tutto è finzione e insieme verità, è esso stesso scenografia.
……Così, metafora dell’incontro, e conseguente liberazione di prigionieri incatenati, ecco calare dall’alto gabbiette con uccelli cinguettanti stridor d’aiuto, che Chisciotte si appresta a liberare con il relativo sconquasso che ne deriva……
…… Oppure in un gioco di luci e sonorità, accecati dal polverio della battaglia, in un cerchio di risate di scherno nemiche, ecco Chisciotte mulinare una lunga cantinella a mo’ di lancia e girare vorticosamente su se stesso…per poi cadere a terra come una pertica, sfinito dalla lotta……
……O ancora, e sono solo costumi semoventi, andare in soccorso di giovinette perseguitate e braccate da creature mostruose, che trasformano il loro tremore in accattivante danza sensuale……
Mentre l’impareggiabile Dulcinea, unica signora dei più segreti pensieri, primo oggetto del desiderio, è la donna che non esiste, puro e doloroso miraggio.
Maria Grazia Cipriani
Durata dello spettacolo: 1h 45 senza intervallo