Un intrigante affresco della società contemporanea con “Poker” di Patrick Marber nella mise en scène della Compagnia Gank
“Poker” debutterà in prima regionale giovedì 10 gennaio alle 21 al Cine Teatro Olbia di Olbia, per approdare venerdì 11 gennaio alle 21 al Teatro del Carmine di Tempio Pausania, sabato 12 gennaio alle 21 al Padiglione Tamuli delle ex Caserme Mura di Macomer e infine domenica 13 gennaio alle 20.45 al Teatro Centrale di Carbonia per la Stagione 2018-19 de La Grande Prosa organizzata dal CeDAC nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna.
Sotto i riflettori (in ordine di apparizione Alberto Giusta, Enzo Paci, Federico Vanni, Fabio Fiori, Daniele Madeddu e Massimo Brizi, diretti da Antonio Zavatteri, uno dei più interessanti registi della scena italiana contemporanea, con scene e costumi di Laura Benzi, che inventa lo spazio e le atmosfere del seminterrato in cui si svolge una vicenda apparentemente banale che assume all’improvviso contorni quasi surreali.
La fortunata pièce del drammaturgo britannico (vincitrice dell’Evening Standard Award for Best Comedy e del Writers’ Guild Award for Best West End Play) è incentrata su una partita a carte in cui i protagonisti – il proprietario di un ristorante di periferia e suo figlio, due camerieri e cuoco – mettono in gioco aspirazioni e progetti per il futuro, proiettando simbolicamente in quella sfida le proprie debolezze e insoddisfazioni, i fallimenti, i dubbi, le paure ma anche le speranze, quasi ad affermare la propria volontà di rivincita, affidandosi a talento e fortuna.
Ogni domenica sera, dopo la chiusura, lo scantinato del locale si trasforma in privata sala da gioco, teatro di uno scontro tra personalità in cui affiorano conflitti inespressi e crisi esistenziali, turbamenti e tensioni, in un bilancio di guadagni e perdite, una mano dopo l’altra, fino all’alba, tra il sogno di mettersi in proprio e l’ambizione di diventare un giocatore professionista, con il miraggio di Las Vegas, la nostalgia di un padre della figlia, date le rare visite concesse dopo una separazione, l’eccessiva passione per l’azzardo e il disgregarsi della famiglia con gli immancabili conflitti generazionali.
Patrick Marber – ex cabarettista approdato alla scrittura – fotografa un microcosmo rigorosamente al maschile, ricostruendo le complesse dinamiche relazionali e le note caratteriali intorno a un tavolo da gioco, quando una partita a poker diventa metafora della vita: una commedia ricca di segreti e sottintesi, sul filo della suspense, finché l’apparizione di un misterioso personaggio deciderà l’esito della serata – e forse il finale della storia.
Ritmi incalzanti e dialoghi serrati, tra inattese rivelazioni e amare confessioni per una pièce avvincente e ricca di humour, ma anche di spunti di riflessione sulla condizione umana: “Poker” – in inglese “Dealer’s Choice” (La scelta del mazziere) – con un focus sulla dipendenza da gioco d’azzardo, apre la trilogia dedicata al mondo contemporaneo, che prosegue con il pluripremiato “Closer” (da cui è stato tratto l’omonimo film diretto da Mike Nichols e interpretato da Julia Roberts, Jude Law, Natalie Portman e Clive Owen) sull’amore e il desiderio, per concludersi con “Howard Katz” su un uomo di mezza età che si interroga sul senso della vita e della morte e con la fede.
La cifra ironica della commedia permette di scandagliare l’animo umano attraverso la consuetudine piuttosto diffusa – non solo oltre Manica – di una partita a carte, rito conviviale che mette a nudo fragilità e debolezze, ansietà e nervosismo, oltre la maschera impenetrabile del vero giocatore di poker, capace di bluffare fino all’ultimo, di nascondere l’esaltazione o la delusione per una mano sfortunata, di intuire e anticipare, se non indirizzare le scelte altrui. I cinque giocatori affrontano ciascuno a suo modo gli imprevisti, attribuendo alla vittoria e alla sconfitta un valore simbolico, che è in un certo senso la misura del loro valore e dell’abilità di controllare il destino.
Tutti portano con sé il peso del passato, delle azioni compiute, degli errori, delle sconfitte e dei rimpianti – la ferita del divorzio, la fine di una relazione, la difficoltà a trovare il proprio posto nel mondo, ciascuno alle prese con i suoi fantasmi e i suoi incubi, perfino con la dipendenza ossessivo-compulsiva meglio nota come ludopatia come personale dannazione.
Sul piatto la possibilità di far quadrare i conti e ripagare vecchi debiti, di guadagnare e mettere da parte quel che occorre per trasformare dei vecchi bagni pubblici in un moderno ristorante, di mettere alla prova la propria abilità in vista di partite di ben altro livello, ma anche di riconquistare la stima se non l’affetto di un figlio oramai troppo distante e distratto.
Ciascuno si siede a quel tavolo con un movente più o meno nascosto, delle velleità, dei sogni, delle rivendicazioni contro l’ingiustizia della sorte, ma la presenza imprevista del sesto giocatore, di cui tutti tranne uno ignorano la vera identità, rappresenta l’imponderabile, altera sia pure impercettibilmente l’atmosfera, fino al coup de théâtre finale, finalmente a carte scoperte.
Sarà forse il pubblico a decretare il vero vincitore – al termine di una commedia divertente e a tratti crudele, in cui l’autore riserva ai personaggi un po’ di comprensione ma mai autentica pietà, ponendoli di fronte alle loro responsabilità e ai loro errori, e offrendo al pubblico un ritratto di varia umanità in cui ritrovarsi e (non) riconoscersi, attraverso quel magico gioco di specchi con cui il teatro riflette la realtà.