Sono i migranti morti nel Mar Mediterraneo. Troppe parole, troppe sofferenze inascoltate che lasciano soltanto un lungo e sentito silenzio.
Quello in atto nel Mar Mediterraneo, davanti ai ‘nostri’ porti, non è un videogioco impazzito, dove vince chi conta più morti annegati al minuto, ma è una tragedia umanitaria di proporzioni inimmaginabili, che non può e non deve lasciarci indifferenti: è questa la preoccupazione espressa dall’Ordine Psicologi della Sardegna. Troppi i morti, troppe le storie drammatiche, laceranti che “vengono a galla” , insieme ai corpi delle vittime, troppo spesso bambini, donne e madri incinte.Come quella del ragazzino del Mali, finito in fondo al mare nel 2015, con la “pagella”, il Bullettin écolaire, cucita nella giacchetta, il suo “lasciapassare” per la civiltà, “l’Europa delle libertà” . Un “conteggio” sempre più ingiusto e doloroso dove in realtà non si vince niente, ma dove si rischia di perdere la coscienza della propria appartenenza al genere umano: “L’aspetto più grave e preoccupante- sostiene l’Ordine degli Psicologi della Sardegna- è non solo l’immane sofferenza dei migranti, delle vittime, dei familiari che conoscono la sorte dei propri congiunti dopo anni, e la sofferenza degli stessi sopravvissuti , per tutto quello che li attende. Ma ciò che preoccupa fortemente è il distacco emotivo crescente in una parte considerevole dell’opinione comune, rispetto al ripetersi di tragedie come quelle degli ultimi giorni, con oltre 170 morti in mare.
Percezione della realtà e memoria dei fatti e della storia possono essere gravemente distorte: c’ è il rischio reale di un’anestesia della sensibilità più profonda, di una sorta di “mutazione genetica” nel proprio percepirsi come esseri umani, nelle reazioni rispetto al dolore di altri esseri umani, diversi solo per lingua e provenienza, cultura, religione. Occorre contrastare questa pericolosa fenomenologia, che può avere effetti devastanti, e di cui è difficile valutare le conseguenze, in particolare nelle giovani generazioni e nel futuro.
Così, come suscita grande preoccupazione l’altra grave emergenza che si sta creando nel nostro Paese per la chiusura dei centri di accoglienza, che che sta mettendo sulla strada soggetti vulnerabili, centinaia, e a breve, migliaia di donne con bambini, che da un giorno all’altro si trovano nella massima precarietà, privi di qualsiasi assistenza e punti di riferimento, in un contesto umano e sociale sempre più ostile. Un dramma di cui occorre prendere rapidamente consapevolezza e ricercare soluzioni adeguate.
‘Persona al centro’ per gli psicologi e le psicologhe significa non voltarsi dall’altra parte e lavorare perché rimozione e distacco emotivo non cancellino il restare umani.