“Le Ultime Lune” con Andrea Giordana è un viaggio tra i ricordi, un insolito ritratto di famiglia in un interno, tratteggiato con sensibilità e delicatezza
“Le Ultime Lune” di Furio Bordon in cartellone in prima regionale giovedì 14 febbraio alle 21 al Teatro del Carmine di Tempio Pausania, poi venerdì 15 febbraio alle 21 al Teatro Comunale di San Gavino Monreale e infine sabato 16 febbraio alle 20.45 al Teatro Centrale di Carbonia nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna.
Sotto i riflettori Andrea Giordana – attore di teatro e cinema, figlio d’arte (la madre era l’affascinante Marina Berti e il padre l’attore e regista Giorgio Gora) e volto noto del piccolo schermo (dagli esordi nello sceneggiato “Il conte di Montecristo”, alle più recenti serie tv come “Provincia Segreta”, “Rosso San Valentino” e “Rimbocchiamoci le maniche”) nel ruolo del protagonista, un vecchio professore – già interpretato da Marcello Mastroianni nella fortunata mise en scène diretta da Giulio Bosetti.
Nella sua solitudine, l’uomo è impegnato in un ininterrotto dialogo con la moglie defunta – che ha volto e voce di Galatea Ranzi (talentuosa e versatile attrice di prosa, diplomata all’Accademia “Silvio D’Amico” di Roma con all’attivo un’intensa e brillante carriera, diretta da registi come Luca Ronconi, Cesare Lievi e Roberto Andò e – al cinema – i fratelli Taviani in “Fiorile”, Cristina Comencini e Giuseppe Piccioni, nel cast de “La grande bellezza”, “La ragazza della nebbia” e il recentissimo “Copperman” – mentre in televisione spazia da “La freccia nera” a “CentoVetrine” – a “Baby”.
L’amore non s’interrompe né si esaurisce con la morte – e la donna continua a vivere nella mente e nel cuore del protagonista, fedele compagna di un’intera esistenza, consigliera e amica, costantemente evocata negli istanti lieti e amari, testimone invisibile dell’inesorabile scorrere del tempo e presenza inafferrabile, ma rassicurante nell’ora del tramonto.
Il legame indissolubile con la sposa e il rimpianto per la felicità perduta si accompagnano al difficile rapporto del protagonista con il figlio, interpretato da Luchino Giordana (figlio di Andrea Giordana, attore di teatro e cinema, già applaudito nell’Isola ne “Il bell’Antonio”) in un curioso gioco di specchi tra arte e vita: “Le Ultime Lune” racconta il difficile rapporto fra genitori e figli, l’incapacità di comunicare che si erge come una barriera invalicabile, tra incomprensioni e silenzi.
“Le Ultime Lune” – nel nuovo allestimento di Palcoscenico Italiano / Centro Teatrale Meridionale – con la regia di Daniele Salvo, con le scenografie di Fabiana Di Marco e i costumi di Martina Piezzo, e con il disegno luci di Giuseppe Filipponio propone un insolito ritratto di famiglia in un interno, tratteggiato con sensibilità e delicatezza – da cui emergono le ragioni degli uni e degli altri sullo sfondo dell’Italia – e dell’Europa – di oggi e di ieri.
Focus sulle memorie di una vita con la pièce che descrive un paradossale rito di passaggio alla rovescia, la fuga da casa di un vecchio che sceglie di ritirarsi dal mondo, identificando nell’anonimato di un ospizio, tra una folla di coetanei, sconosciuti e discreti, la meta del suo volontario esilio.
La segreta e inconfessabile speranza di incontrare un’opposizione da parte del figlio per questa decisione, che è in fondo la confessione di un doloroso fallimento – nella sfera degli affetti – s’infrange contro la triste realtà: la linea sottile che li divide, pur nella stessa dimora, non s’infrange neppure per un prematuro addio.
“Le Ultime Lune” è un’opera necessaria in un’epoca in cui l’evoluzione economica e culturale ha così profondamente trasformato il ruolo e il significato della famiglia, fondamento della società, ma anche spazio di conflitti spesso laceranti: il testo s’interroga sulla profondità o superficialità dei legami e su valori come il rispetto e il prendersi cura a fronte di un individualismo sfrenato, all’insegna di un irresponsabile “carpe diem”.
La pièce mette a confronto passato e futuro, il patrimonio immateriale e inestimabile dei ricordi di un’intera esistenza, tra rimorsi e rimpianti e la corsa verso il nulla di una generazione senza radici, immersa nel presente, ignara di ciò che è stato e ciò che sarà – come di ciò che potrebbe e dovrebbe essere, nel naturale passaggio del testimone e il confronto, non sempre facile, fra le diverse generazioni.
Un “canto del cigno” in un cui la coscienza di quel che si è stati (e si è diventati) affiora prepotente dal magma dei pensieri e delle emozioni: il protagonista, in procinto di abbandonare la stanza teatro della sua solitudine abitata da fantasmi, dall’eco di parole e fatti impressi nella sua mente, sfoglia a ritroso il diario dei giorni, come e a ripercorrere le stagioni trascorse, prima di incamminarsi verso la fine. “Le Ultime Lune” indaga il senso della vita – e della morte – dalla prospettiva di chi si accinge a voltare le ultime pagine, con la consapevolezza del proprio destino, dal peso delle scelte e degli errori, dell’importanza di ogni singolo istante di felicità – e perfino di malinconia.
Nella moderna civiltà dell’apparire che rifiuta l’idea stessa d’invecchiare per inseguire il miraggio di un’eterna giovinezza, è importante rammentare, come sottolinea Daniele Salvo, che «La vecchiaia è un privilegio. Una pietra preziosa.
È un momento della vita di un uomo in cui tutte le linee convergono verso un punto sospeso sul filo dell’orizzonte. È la somma di tutti gli addendi, il termine di un progetto, l’inizio di un nuovo cammino». Una fase cruciale che – secondo il regista – «Coincide con la condizione del poeta. Essere poeti oggi dà scandalo. Il poeta non serve a nulla. Il poeta dà fastidio. È troppo ingenuo, troppo fragile, troppo vero. E soprattutto il Poeta, come il vecchio, sa dire la verità. Il poeta attende paziente, siede su una panchina sul ciglio del torrente del tempo e guarda. Una foglia cadere, una gemma sbocciare, un bambino che sorride».
Ma soprattutto – ricorda Salvo – «Il poeta, come il vecchio, possiede la mappa del labirinto, crea un modello infantile dell’universo, “di un universo fondato sin dalla tenera età nel nostro cuore, una specie di libro di testo per capire il mondo dal di dentro, dal suo lato migliore e più fulgido”. Il Poeta canta con la sua voce sempre più flebile ride tra i denti, ma mi accorgo che piange. E’ solo un uomo, o forse un vecchio. Ma il suo pianto conduce al futuro».
Palcoscenico Italiano – Centro Teatrale Meridionale
Le Ultime Lune
di Furio Bordon
con Andrea Giordana – Galatea Ranzi
e con Luchino Giordana
scene Fabiana Di Marco
costumi Martina Piezzo
disegno luci Giuseppe Filipponio
produttore esecutivo Tiziana D’Anella
regia Daniele Salvo, produzione Palcoscenico Italiano in collaborazione con Centro Teatrale Meridionale
Un vecchio professore, in attesa di trasferirsi in una casa di riposo, dialoga con la moglie defunta, alla quale espone le sue riflessioni sulla vecchiaia, sulla morte, sul difficile rapporto con suo figlio e sul legame amoroso che li ha uniti fino alla prematura scomparsa di lei.
Le Ultime Lune fu rappresentato per la prima volta in teatro nel 95 da Marcello Mastroianni con la regia di Giulio Bosetti. E’ tradotto in venti lingue. E’ in scena in molti paesi del mondo da oltre 10 anni.
Le ultime lune, ultimo spettacolo teatrale interpretato da Marcello Mastroianni, va in scena per la prima volta il 10 novembre 1995 al Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni, con la regia di Giulio Bosetti. E’ un testo scritto dal triestino Furio Bordon, e nel 1993 vince il premio dell’Istituto del Dramma Italiano – premio IDI – per la miglior novità teatrale dell’anno. Questo testo è tradotto e allestito all’estero in più di venti lingue e vince numerosi premi, tra cui il Premio della Critica a Bruxelles nel 2003, come migliore spettacolo dell’anno. Esso è un’analisi profonda sulla terza età.
Solo dopo un mese dal debutto Marcello deve sospendere le recite a causa di un malore. Le date programmate non sono cancellate, ma solo rinviate, e il 20 febbraio 1996 torna a recitare, debuttando una seconda volta a Bologna. Gli è diagnosticata una grave malattia. Così, la vita reale s’identifica con la finzione. Mastroianni tuttavia continua a recitare fino a che le forze glielo consentono.
È a Napoli che nel novembre 1996 Mastroianni va in scena per l’ultima volta. Marcello ha recitato finché le forze glielo hanno consentito, fino alla fine, perché amava profondamente il teatro e il suo lavoro. La sua interpretazione molto intensa è percepita dal pubblico che lo riempie di applausi irrefrenabili. Gli spettatori avvolgono in un abbraccio ricco d’affetto e gratitudine il grande Attore e, soprattutto, il grande Uomo Marcello Mastroianni.
Le ultime lune continuano a essere rappresentate in giro per il mondo e, come ricorda Furio Bordon, tutti gli attori, ovunque, continuano a parlare di Marcello. È un modo per farlo vivere, per sentirlo ancora vicino, per ricordare un uomo e un attore indimenticabile.
Il Padre (il protagonista della piece interpretato da Andrea Giordana), è un professore universitario in pensione, che decide di lasciare la casa del figlio – dove vive con lui, la nuora e i nipoti – per trasferirsi in una residenza per anziani. È una decisione dettata dall’orgoglio, dal desiderio di non essere di troppo in un appartamento diventato piccolo dopo la nascita della seconda nipote.
È facile intuire che l’anziano avrebbe sperato in un consenso un po’ meno sollecito da parte del figlio riguardo questa sua decisione. Il protagonista, vedovo da molti anni, parla spesso con la moglie (Galatea Ranzi) morta giovane e ricorda il tempo passato.
Egli non ha più fiducia verso il prossimo e non ha il coraggio di parlare a nessuno delle proprie paure e dei propri pensieri. Non riesce a comunicare nemmeno con suo figlio, (Luchino Giordana) troppo distante da quelle problematiche e incapace di comprenderlo pienamente.
È un testo che si occupa di un tema umano sociale, e anche attuale, visto l’aumento della popolazione degli anziani, parla della lacerazione profonda tra “mondo dei vecchi” e “mondo dei giovani”. L’incomunicabilità esistente tra questi due mondi si attua in un silenzio straziante, un’indifferenza basata su dialoghi spesso insignificanti e superficiali.
In questa edizione Andrea Giordana saprà onorare meravigliosamente bene il grande Marcello Mastroianni.
Dalle note di regia
Un uomo nella sua stanza attende. Osserva. Ricorda. Sogna. E’ un uomo solo, stanco, privato del suo futuro. Un vecchio. Sogni, fantasie, ricordi, suggestioni, fantasmi del passato affollano la sua povera stanza dell’immaginario. La sua compagna, morta molti anni prima, è sempre al suo fianco e conversa assiduamente con lui, ogni giorno. In questa stanza vita e morte si toccano, presente e passato si sovrappongono: all’interno di queste mura, il tempo è relativo. E’ un vecchio professore che aspetta nella propria stanza il figlio che lo accompagnerà in una casa di riposo per anziani.
Quest’uomo vive e respira quella stanza, dove trascorre tutta la sua giornata, come se la volesse portare con sé: i suoi unici compagni di viaggio sono la musica, i fumetti che ha sempre amato e un album di fotografie. Con lui una compagna silenziosa e scomoda: la vecchiaia. E quest’uomo affoga sempre più nella malinconia, si confronta ogni giorno con la nostalgia, con la sua condizione di impotenza e disillusione. Il presente è insoddisfacente, la vita è al tramonto, i progetti sono conclusi: il massacro della vecchiaia.
La decisione di entrare in una casa di riposo e di andarsene per sempre dalla stanza di una vita, nasce dal sentirsi “di troppo” e la scelta è lucida, definitiva, irrimediabile. Una volta lasciata la propria casa, la propria stanza, nella soffitta di un’anonima casa di riposo, il protagonista trascorre qualche ora del suo tempo in compagnia del suo album di fotografie, della sua musica e di una piantina di basilico: è in quella soffitta, uno strano modo per avvicinarsi sempre più al cielo, che egli aspetta la fine dei suoi giorni.
Nella nostra società la vecchiaia è un imprevisto. Qualcosa di cui vergognarsi, qualcosa da cancellare. Tutti inseguono la giovinezza, tutti combattono i segni del tempo, tutti vogliono allontanare la morte. In questo mondo ormai senza regole, improntato all’egoismo più sfrenato, al culto dell’io, all’auto rappresentazione, alla celebrazione del sé, alla giovinezza, all’efficienza ad ogni costo, alla ricchezza, alla velocità, al qui ed ora, al tutto e subito, essere vecchi significa essere esclusi. Ormai altri giovani cantano altre canzoni e il vecchio è troppo lento, troppo stanco, troppo solo: inutile.
Ma la vecchiaia, al contrario, è un privilegio. Una pietra preziosa. È un momento della vita di un uomo in cui tutte le linee convergono verso un punto sospeso sul filo dell’orizzonte. È la somma di tutti gli addendi, il termine di un progetto, L’inizio di un nuovo cammino. Coincide con la condizione del poeta. Essere poeti oggi dà scandalo. Il poeta non serve a nulla. Il poeta dà fastidio.
È troppo ingenuo, troppo fragile, troppo vero. E soprattutto il Poeta, come il vecchio, sa dire la verità. Il poeta attende paziente, siede su una panchina sul ciglio del torrente del tempo e guarda. Una foglia cadere, una gemma sbocciare, un bambino che sorride.
Il poeta, come il vecchio, possiede la mappa del labirinto, crea un modello infantile dell’universo, “di un universo fondato sin dalla tenera età nel nostro cuore, una specie di libro di testo per capire il mondo dal di dentro, dal suo lato migliore e più fulgido”. Il Poeta canta con la sua voce sempre più flebile ride tra i denti, ma mi accorgo che piange. E’ solo un uomo, o forse un vecchio. Ma il suo pianto conduce al futuro