Diritti dei Minori. Nell’ambito della giurisdizione ordinaria si distinguono i cosiddetti “togati” con funzioni giudiziarie e gli “onorari”. Parliamo questa mattina con il Dott. Guido Pala, Presidente del Tribunale per i Minorenni, in compresenza del Dott. Massimo Portas, giudice onorario appositamente scelto per quest’importante incarico. Una figura professionale di supporto ed affiancamento agli interessi dei minori che ha come principale obiettivo l’estensione della tutela sotto l’aspetto psicologico e pedagogico.
Nel Regio Decreto Legge n. 1404/56 è stabilito che si tratta di “un uomo ed una donna, benemeriti, dell’assistenza sociale, scelti fra i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di psicologia, che abbiano compiuto il trentesimo anno di età”. Ma chi è il giudice onorario, e di cosa si occupa precisamente?“La legge prevede la presenza dei giudici onorari quali figure atte a coadiuvare quelli di carriera nello svolgimento di tutte le attività interne. Gli onorari vengono nominati a cadenza triennale e il numero dipende dalla grandezza del Tribunale. All’interno del Tribunale per i Minorenni di Cagliari è garantita la presenza di 20 giudici onorari. E’ importante dire che questi vengono costituiti, in pari numero, da uomini e donne, e durante la presa delle decisioni in collegio, devono necessariamente essere presenti un uomo e una donna. I giudici onorari rivestono un ruolo assai importante, in quanto apportatori di quella ricchezza di competenze professionali ed esperti che abbiano raccolto un esperienza tale da poter contribuire in questo senso”.
Il Dott. Massimo Portas, in qualità di giudice onorario incaricato, raccoglie ed “accoglie” il disagio interiore, i problemi quotidiani che bambini e ragazzi si trovano ad affrontare, invischiati all’interno di meccanismi conflittuali spesso inevitabilmente, quanto inutilmente, portati all’eccesso.
“In qualità di psicologo, ho maturato una serie di esperienze nei servizi sociali di base, servizi sanitari e in ambito clinico. Nella fase iniziale, insieme a due giudici togati ed una psicologa facente parte del collegio, vengono seguite tutte le procedure nelle quali si cerca di capire quali risorse i genitori possiedono per espletare al meglio il compito educativo, ed in quali casi invece è necessario prendere provvedimenti inerenti la sospensione, la revoca della responsabilità genitoriale che, solitamente, passa per un inserimento comunitario del minore, al fine di trovare una collocazione, sempre qualora non possa fare ritorno nella propria famiglia d’origine. Rimane sempre aperta la possibilità di un recupero delle funzioni genitoriali che escluda la procedura di adottabilità e prenda invece in considerazione un percorso di affido temporaneo. Negli ultimi anni, insieme ai colleghi del pool affidamenti e adozioni, siamo stati coinvolti nella raccolta di richieste nazionali, internazionali, come del distretto giudiziario di Cagliari, valutando fattibilità e disponibilità delle famiglie all’accoglimento di questi bambini, prendendoci inoltre cura di quelli in stato di affido e/o adottabilità, come delle famiglie richiedenti e fungere quindi da punto d’incontro. Da questo punto di vista vi è un passaggio netto: durante la procedura di volontaria giurisdizione di adottabilità, i minori vengono sentiti tramite i servizi, allorquando si trovino nelle condizioni di poter esprimere la propria volontà, vengono sentiti all’interno del Tribunale. All’interno del pool adozioni i minori vengono incontrati, ascoltati, ed assecondati nelle esigenze che prevedono una vera e propria preparazione a quella che successivamente sarà l’accoglienza in famiglia. Un lavoro che non passi meramente dai report ma dall’incontro con bambini e ragazzi, dolori e sofferenze relative a vissuti traumatici, ma anche a difficoltà seguenti la separazione con i propri genitori, nel pieno accoglimento di timori e perplessità. Questo aspetto sicuramente mette in conto una maggiore vicinanza con la formazione professionale alla quale siamo sempre molto vicini in qualità di psicologi, pedagogisti, assistenti sociali, in quanto il contatto stesso con le esigenze native del bambino, che non sempre riesce ad avere uno spazio d’accoglienza, anche per via di caratteristiche cliniche o anagrafiche abbastanza complesse, non sempre determina la possibilità di risposta a questo bisogno. Rimane certamente una componente dolorosa anche per noi giudici che non sempre riusciamo ad attuare interventi protettivi nei confronti di questi bambini”.
L’ascolto quale prerogativa necessaria, prima fra tutte, nei confronti del minore. Prestare attenzione alle sue esigenze, alle sue idee, ai suoi desideri ed all’interesse partecipativo che questi ha nelle vicende, e non ultima la disponibilità da parte di chi ascolta di modificare le proprie opinioni. Quali sono le competenze necessarie per l’esercizio di questa funzione?
“L’ascolto del minore è uno strumento essenziale per la definizione dei casi. Come già detto è obbligatorio per il minore che abbia almeno compiuto il 12° anno d’età, in caso contrario non potrà essere preso in considerazione alcun procedimento. Il minore, sempre d’età inferiore a questa, potrà essere ascoltato soltanto nel caso abbia raggiunto un adeguata capacità di comprensione. L’ascolto è importante sia per i casi civili che penali, in quanto utile a comprendere meglio le esigenze del caso concreto e le diverse possibilità da prendere in considerazione al fine della sua risoluzione. Questo importante aspetto non può essere certamente desumibile dalla sola audizione dei genitori che, come molto spesso accade, forniscono un immagine inesatta delle situazioni, tendendo ad una rappresentazione negativa degli eventi. Durante la fase di ascolto del minore ci si avvale per questo del prezioso apporto dei giudici onorari, in quanto detentori di specifiche competenze ed adatti all’accoglimento di dette istanze. Le nostre strutture prevedono le audizioni in un ambiente tranquillizzante e sicuro, come un aula protetta dotata di adeguate attrezzature che consentono, nel caso di bambini molto piccoli, di predisporre la presenza di giochi che servano a rasserenarlo e a rendere la sua permanenza il più confortevole possibile, vicino ad uno psicologo o pedagogista; le parti in causa, genitori compresi, possono seguire l’andamento del colloquio da un aula attigua tramite un impianto audiovisivo, senza per questo disturbare la serenità del minore, permettendogli così massima libertà ed agiatezza. Certamente si tratta di una struttura sovente utilizzata, tanto in ambito civile quanto penale, anche dai giudici del Tribunale ordinario negli incidenti probatori in cui debba essere sentito necessariamente un minore, specie nei casi in cui si presume un possibile maltrattamento o abuso. In tutti questi casi è doveroso l’apporto dello stesso giudice onorario come affiancamento a quello togato nell’assunzione delle decisioni a favore del minore”.
In che modo viene svolta un audizione, e qual’è la sostanziale differenza fra “sentire” e “ascoltare”?
“All’interno del Tribunale coesistono differenti procedure di udienza e, per quanto attiene all’ambito civile, è possibile l’audizione dei più piccoli in quelle amministrative. Gli infra 14enni, che possono avere responsabilità penale a seguito dei propri atti, o anche più grandi, ma che necessitano di esigenze contenitive d’aiuto, possono certamente essere sentiti dai giudici onorari. In questi casi le udienze possono svolgersi in diversa maniera, in quanto ogni giudice ha una personale sensibilità, sempre tesa alla consapevolizzazione del minore circa i propri atti, e sempre tenendo presente il bisogno dello stesso alla riservatezza. In altre situazioni i giudici onorari vengono delegati per le procedure di adottabilità dai magistrati togati per l’approfondimento.
In merito ad un contributo che prenda in considerazione la differenza fra sentire ed ascoltare, potrei rifarmi ai minori in stato di adottabilità. Questi bambini hanno alle spalle episodi di abbandono, separazione e perdita dei genitori, e vanno aiutati nella difficile ricerca della soluzione, accompagnandoli nel graduale riconoscimento di queste difficoltà, rispettando le loro caratteristiche peculiari, i loro bisogni. Ricordiamo che i processi d’accoglienza all’interno della comunità non equivalgono ad un vissuto di familiarità quotidiana, e questo comporta un distacco netto dal concetto di famiglia vera. Il Tribunale cerca in questo senso di trovare la soluzione più vicina alle loro necessità, come detto fungendo da punto d’incontro anche per le richieste delle famiglie adottive. Le comunità non possono certo garantire l’affettività di cui necessitano, nonostante si occupino di progetti d’accompagnamento fino alla maggiore età.
Una delle attuali difficoltà che il Tribunale si ritrova a fronteggiare in questo momento è legata al fatto che, nonostante ci siano molti minori che hanno desiderio e volontà di essere accolti, non si riscontrano coppie affidatarie adottive disponibili o che possiedano le risorse per poterli accogliere, e nella maggior parte dei casi queste stesse richiedono figli in età scolare esenti da vissuti traumatici o problematiche neuropsichiatriche. In altri casi, laddove vi siano famiglie disponibili all’accoglienza, i vissuti emotivi dolorosi o traumatici, non solo non facilitano il rapporto con i genitori, ma vengono replicati all’interno dello stesso nucleo. Inoltre, non sempre le famiglie affidatarie o adottive hanno sostegno da parte dei servizi nella reggenza del carico d’accoglienza di questi malesseri, e spesso si creano conflitti interni dovuti, come spesso accade, alla ricerca dell’indipendenza da parte dei ragazzi”.
Daniele Fronteddu
Bibliografia essenziale