Il fascino di un’artista indimenticabile la cui vita assume a tratti le sfumature del melodramma.
“Maria Callas – Master Class” : fortunata e pluripremiata pièce di Terrence McNally ispirata al celebre soprano greco, con un’intensa Mascia Musy nel ruolo della protagonista, per la regia di Stefania Bonfadelli – in cartellone (dopo la prima regionale di IERI (giovedì 7 febbraio) alle 21 al Teatro Civico di Alghero) STASERA (venerdì 8 febbraio) alle 21 al Teatro /Centro Culturale di Dorgali (in collaborazione con Mousikè), DOMANI (sabato 9 febbraio) alle 21 al Teatro San Bartolomeo di Meana Sardo e infine domenica 10 febbraio alle 18 all’AMA / Auditorium Multidisciplinare di Arzachena (in collaborazione con DeaMater) per la Stagione 2018-2019 de La Grande Prosa organizzata dal CeDAC nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna.
Il drammaturgo nonché sceneggiatore e librettista americano, vincitore di ben quattro Tony Awards (tra cui quello per “Master Class”) disegna un interessante ritratto di Anna Maria Cecilia Sophia Kalos – nota al grande pubblico con il nome d’arte di Maria Callas – icona dell’opera lirica del mondo, in grado di spaziare tra i diversi registri, dai vertiginosi acuti e dalle agilità belcantistiche al pathos dei ruoli drammatici, sposando un’inarrivabile bravura tecnica e un immenso talento a una straordinaria sensibilità e capacità espressiva.
La “divina” dalla voce leggendaria per l’ampiezza dell’estensione naturale, la potenza e duttilità ma anche dall’eccezionale carisma immortalato dalla decima musa – come nella “Medea” di Pier Paolo Pasolini – rivive sulla scena incarnata da un’intensa Mascia Musy, interprete raffinata e poliedrica, durante le famose lezioni alla Juilliard School Music di New York all’inizio degli Anni Settanta, in cui la cantante si rivela insegnante severa e esigente, ai limiti della crudeltà, e a tratti si scopre intenta a rievocare momenti cruciali della sua esistenza, che coincidono con alcune pagine significative della storia del melodramma.
Una creatura complessa dal forte temperamento, determinata nell’inseguire la sua inclinazione per la musica ma anche donna innamorata, fragile e vulnerabile, lusingata dalle attenzioni e ferita dall’indifferenza e dall’abbandono: un’infanzia non idilliaca a New York, poi gli studi e i primi successi ma anche gli anni faticosi e difficili in Grecia, i trionfi all’Arena di Verona e alla Fenice di Venezia, la fulgida stagione alla Scala di Milano, il ritorno negli Stati Uniti, gli applausi e le tournées, poi i primi segni di fatica, i cedimenti, le défaillances e la decisione dolorosa di ritirarsi dalle scene – amaro epilogo per un’esistenza quasi interamente consacrata alla musica.
Sotto i riflettori – accanto a Mascia Musy – i soprani Sarah Biacchi e Chiara Maione e il tenore Andrea Pecci con Diego Moccia al pianoforte, per una pièce teatrale intessuta di melodie e accordi, con citazioni dai capolavori di Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini e Vincenzo Bellini, dove la protagonista ritrova se stessa attraverso la meraviglia di alcune tra le sue più celebri e amate interpretazioni, nella mise en scène firmata Società per Attori in collaborazione con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Fondazione Musica per Roma, per la regia di Stefania Bonfadelli.
Quarant’anni dopo la scomparsa (nel 1977 a Parigi) il mito di Maria Callas e l’incanto della sua voce immortale continuano a sedurre innumerevoli appassionati in tutto il mondo, come la favola triste della cantante di origine greca, nata negli Stati Uniti e destinata a conquistare i palcoscenici più importanti con le sue performances, per poi ritrovarsi, all’apice del successo, improvvisamente afona, privata del suo dono prezioso e confinata al silenzio o quasi – con rare apparizioni e tournées – come per un perfido incantesimo, una beffa della sorte.
L’esotico charme della “divina” cantante curiosamente si contrappone ai suoi amori sfortunati, e nello spettacolo, tra i lunghi flashback in cui riaffiorano i duri anni della sua giovinezza segnati da un indiscutibile talento, un regalo ma anche una maledizione, che rappresenta il fil rouge intorno a cui si svilupperà tutta la sua esistenza, appaiono gli uomini della sua vita – in particolare il primo marito, Giovanni Battista Meneghini, molto più anziano di lei, che fu anche suo mecenate e in seguito suo agente e l’armatore ellenico Aristotele Onassis, di cui si era invaghita e con cui ebbe una relazione tormentata..
“Maria Callas – Master Class” è una pièce avvincente, costruita sulla falsariga del ciclo di lezioni tenute dall’artista (di cui esiste un’accurata documentazione), dove i segreti di un’interpretazione che sappia fondere canto e recitazione per cogliere e restituire appieno l’essenza di un personaggio, con tutta la ricchezza di sfumature sottese alla partitura, fra nozioni squisitamente tecniche e un approccio e uno stile assolutamente personali, lasciano in posto a un viaggio nella memoria, in cui emergono nitidi singoli episodi, dialoghi, incontri come i frammenti di un diario – in un gioco di specchi tra realtà e finzione – sulla scena come nella vita.
Mascia Musy – attrice di teatro, diretta da registi come Eimuntas Nekrosius in “Ivanov” e nell’emozionante “Anna Karenina” (per cui ha vinto il Premio Gassman, gli Olimpici del Teatro e Il Premio Ubu), Giuseppe Patroni Griffi, Luigi Squarzina, Giancarlo Cobelli e Antonio Calenda, Gigi Dall’Aglio e Emanuela Giordano, ma anche volto noto del piccolo schermo, da “Una donna per amico” di Rossella Izzo e “Ombre” di Cinzia TH Torrini, a “Assassine”, nonché conduttrice radiofonica -.dopo l’ “Orestea” di Luca De Fusco e la Blanche di “Un tram che si chiama desiderio” per la regia del cileno Cristiàn Plana – interpreta una Maria Callas ormai alla fine della carriera, profondamente amareggiata ma consapevole della propria arte – e in fondo del proprio destino.
Una figura ambivalente – nel suo rapporto con gli allievi, cui offre strumenti per affinare il proprio talento insieme agli strali del suo sarcasmo, in bilico tra un’ipotetica rivalità e una istintiva solidarietà, come con gli uomini – mariti o amanti – che le sono stati accanto. Una donna piena di passione, con i suoi difetti e un carattere non sempre facile, ferita dall’incomprensione e dall’invidia, dal tradimento e dall’abbandono ma come un’araba fenice ancora in grado di risorgere dalle sue stesse ceneri – per trasformarsi in un’icona dell’opera lirica – insuperabile e “divina”.