Simona Sodini, calciatrice, in attesa del secondo figlio a 37 anni. Una pioniera del calcio femminile.
Raccontare Simona Sodini, calciatrice, ora in attesa del secondo figlio a 37 anni, al termine dell’attività agonistica(gioca in serie B con il Torino), è dare voce ad una delle più prolifiche calciatrici che hanno fatto la storia del calcio femminile. Sassarese, ha tirato i primi calci che contano nella gloriosa Torres, la compagine che dominava nel panorama calcistico italiano. L’amore per il calcio trasmesso dal padre portiere dilettante. Le partite in televisione in tenera età parlando di gol, rigori non dati, fuorigioco e arbitri.Simona ha esordito in serie A a soli 14 anni con l’Attilia Nuoro. Col Milan ha vinto lo scudetto e la Supercoppa italiana, ha giocato oltreché con la Torres, il Foroni Verona, Oristano, Torino e Juventus.
In serie A ha segnato ben 249 gol. Ci tiene a ricordare il gol più bello segnato contro il Mozzanica quando indossavo la maglia del Riviera di Romagna, un goal da 40 metri sotto l’incrocio dei pali. “Ancora oggi, quando lo rivedo, faccio fatica a crederci”.
“Posso dire di essermi tolta tante soddisfazioni – spiega -. Il calcio mi ha dato tanto e mi ha fatto maturare in fretta. Quando sono andata via di casa ero piccola e la mamma non era così convinta. Ha cercato di farmi cambiare idea. Voleva tenermi con lei. Ci ha pensato mio padre a tranquillizzarla e alla fine sono partita. Devo dire che col tempo mamma è diventata un’accanita tifosa. Vivendo lontano, mi telefonava tutti i giorni, voleva sapere tutto, soprattutto chi frequentavo. Una sorta di terzo grado, questo un po’ mi dava fastidio. Ora che sono diventata mamma anche io capisco le sue ansie”.
La Sodini ha fatto parte anche delle nazionali (le under dalla 15 alla 21) e a quella maggiore dove ha esordito a 18 anni. “Tante stagioni diverse. E ognuna di loro mi ha lasciato dentro qualcosa, sia in positivo che in negativo. Credo sia molto importante per una calciatrice saper vivere tutte le situazioni, belle e meno belle, ti fa crescere. Vincere e stare sempre ad alti livelli piace, ma quando ad esempio giochi per la salvezza tante cose cambiano e devi riuscire a tirare fuori anche quello che non hai. E quando non ce l’hai lo inventi. In alcuni momenti della mia carriera ho scelto di sfidare me stessa cogliendo opportunità meno favorevoli, e riuscire a fare gol pesanti mi ha appagato” – racconta Simona visibilmente emozionata.
Insomma una strepitosa calciatrice, intelligente, disciplinata, rapida e potente ma anche una meravigliosa mamma: si chiama Thomas il suo primo goal più bello. “Il mio essere donna si è completato con la realizzazione di una famiglia. Non è semplice, a volte andare a fare allenamento e vedere tuo figlio con le lacrime agli occhi perché non vuole lasciarti andare via è un colpo al cuore. In questo devo ringraziare il mio compagno Rosario” – Amendola, ex secondo in Nazionale di Antonio Cabrini – “Che cerca in tutti modi di portarlo al campo per averlo vicino e di esserci quando io non ci sono. Essere mamma è la cosa più bella che mi sia capitata. Una gioia che cresce sempre più insieme al mio Thomas. Spero che un giorno possa essere orgoglioso di quello che la mamma ha fatto e continua a fare nel calcio”.
Ma il dopo gravidanza non è stato per niente semplice e in questo la centravanti ha mostrato invidiabile determinazione e incredibile forza: “I primi allenamenti dopo lo stop sono stati tragici. Non è come il ritorno dopo un infortunio di qualsiasi genere, ma si subisce un vero e proprio cambiamento del corpo. È stato difficile, e ho dovuto anche fare una dieta ferrea oltre agli allenamenti di tutti i giorni. Ho sempre creduto di farcela, sono riuscita a perdere 18 chili e a ripartire davvero”.
Simona ha cominciato a giocare all’età di 5 anni all’oratorio salesiano del Latte Dolce a Sassari con i maschietti del quartiere. Passava ore con il pallone. “All’età di 7 anni ho indossato per la prima volta la maglia di una vera squadra di calcio, prima maschile e poi femminile, la Woman Sassari diventata poi Torres, a cui devo un ringraziamento particolare ad un Mister che ha creduto in me e alle mie qualità calcistiche, Mario Silvetti, portandomi con sé nelle Nazionali Under 15-17-18-20-21… e a lui devo tante mie soddisfazioni personali.”
Ci parla anche del successo sportivo che ricorda con maggior piacere. “Il terzo posto all’Europeo con la nazionale azzurra under 18, abbiamo vinto la medaglia di bronzo e io sono stata premiata come miglior giocatrice del torneo. Ricordo che avevo 16 anni e ricevere quel premio in mezzo a tante giocatrici forti è stato emozionante”.
E dell’esordio in nazionale maggiore. “Difficile da scordare: eravamo in Islanda e avevamo battuto per 2-1 le padrone di casa, io sono entrata a venti minuti dalla fine della partita, giusto in tempo per l’assist del goal vittoria”.
I primi gol ufficiali li ha segnati nel campionato Pulcini. “Il Latte Dolce aveva messo su una squadra tutta femminile. Ci chiamavano le bambine terribili – ricorda Simona -, vincevamo sempre contro i maschietti e io segnavo in ogni partita. La società era affiliata al Parma e durante un provino gli osservatori della società emiliana dissero ai nostri tecnici: vogliamo prendere quel biondino con i capelli lunghi. Quando hanno saputo che ero una ragazzina sono rimasti senza parole e in un primo momento non ci hanno creduto e hanno insistito”.
Simona ha il calcio nel suo Dna. Una passione che ha fatto diventare una professione e spera che lo resti anche ora quando verosimilmente con la nascita del secondo figlio fra qualche mese, smetterà di giocare. Simona farà con il piccolo Thomas quello che suo padre Luciano a fatto con Lei? “No. Lo lascerò libero di scegliere. I tempi sono cambiati. I genitori possono dare consigli, poi i figli fanno quello che vogliono”.
L’ultimo pensiero è alla Sardegna lontana. Lo è stata per quasi tutta la sua carriera. Ora vive a Torino dove pensa di rimanere anche dopo aver smesso ufficialmente di giocare. “Mi manca sempre casa. Tantissimo la mia famiglia e il mare ma appena posso cerco di andarci”.