Un racconto corale denso di pathos con la cifra essenziale e rigorosa dell’artista argentino mette a confronto vittime e “carnefici”, protagonisti di un conflitto mai dichiarato su una terra di nessuno in un angolo di paradiso: Emilia Agnesa, Agnese Fois, Daniel Dwerryhouse, Valentino Mannias, Marta Proietti Orzella, Luca Spanu e Luigi Tontoranelli (in rigoroso ordine alfabetico) sono gli interpreti di una storia emblematica sulle conseguenze impreviste e terribili delle servitù militari.
Un silenzio assordante – interrotto dalle inchieste giornalistiche, spesso puntuali e documentate e più recentemente dal clamore dei processi in cui risulta sempre difficile individuare i colpevoli o (complici i risultati di certe analisi e la scelta dei parametri, ovvero l’innalzamento delle soglie) pur davanti all’evidenza, “certificare” la contaminazione ambientale.
Un’immagine (quasi) poetica – una sorta di “neve” che cade dal cielo e ricopre il paesaggio – è un segno visibile e tangibile del male “misterioso” che colpisce l’Isola e altre parti d’Italia e d’Europa e del pianeta in nome di presunte necessità strategiche e equilibri di forze sulla scacchiera internazionale. Un “cancro” sia reale che metaforico avvelena anime e corpi, rendendo gli abitanti come prigionieri di un crudele incantesimo, costretti a negare quel che accade sotto i loro occhi: non bastano le nascite di creature deformi – bambini e animali – e l’incidenza dei tumori e neppure gli episodi più eclatanti, come la fine prematura e dolorosa di giovani con o senza divisa dopo l’esposizione a radiazioni o sostanze durante le operazioni di bonifica dopo esperimenti top secret.
Il Poligono di Quirra – al centro di accese polemiche e dibattiti, interrogazioni e finalmente inchieste giudiziarie – rappresenta il simbolo di scelte imposte dall’alto verso i cittadini considerati come sudditi, senza diritto di parola e soprattutto senza la facoltà di decidere autonomamente sul proprio futuro.
La Sardegna – “portaerei del Mediterraneo” per Mussolini durante la seconda guerra mondiale – per la Cia negli Anni Sessanta rappresentava un “ponte libero” senza quindi “il fastidioso problema della gente e delle città” che caratterizzava la Penisola, con distese di “ettari ed ettari non cari, quasi spopolati ma comunque abitati da gente, i sardi, tenaci e coriacei, ma come risaputo incapaci di costituire movimenti collettivi o iniziative comuni. L’isola è povera, e per questo facilmente comprabile con poche centinaia di posti di lavoro nelle basi militari, da offrire come mangime a qualche compiacente politico nazionale e regionale”.
L’Isola al centro dell’antico “mare nostrum” poteva costituire al tempo della guerra fredda un interessante punto di appoggio in posizione certamente strategica ma la noncuranza con veniva liquidata l’eventuale reazione popolare per non dire della (mancanza di) lungimiranza dei governanti sottolinea una (presunta) inadeguatezza della classe politica sarda e italiana nel confronto con gli “alleati”.
Una visione ormai “storica” purtroppo mai contraddetta dai fatti ma che acquista una valenza tragica nel momento in cui la semplice “occupazione” e “destinazione” del territorio ad “usi militari” determina non solo la sottrazione e la definitiva cancellazione di aree destinate all’agricoltura e al pascolo ma dopo l’avvento del turismo anche di magnifiche regioni costiere “off limits” per cittadini e villeggianti. Un danno incalcolabile per l’economia – e perfino per l’immagine – della Sardegna con risvolti inquietanti legati agli esperimenti bellici in cui vengono “testati” missili e armamenti che lasciano tracce invisibili ma persistenti, inquinando la terra, l’aria e l’acqua.
“L’Avvoltoio” di Anna Rita Signore, nell’affascinante allestimento di Sardegna Teatro per la regia di César Brie (Premio Franco Enriquez 2018 “per una comunicazione e un’arte di impegno sociale e civile”, che si aggiunge al Premio alla drammaturgia conferito dalla SIAD-Società Italiana Autori Drammatici: «Premio speciale Claudia Poggiani, all’interno del Premio Calcante 2014) ricostruisce i fatti attraverso documenti e atti giudiziari ma soprattutto attraverso le testimonianze delle vittime e dei loro familiari come degli alti quadri dell’esercito e degli scienziati chiamati a misurare e inventariare i danni – dando così voce ai vivi e ai morti.
Un paesaggio desolato e quasi astratto su cui spiccano i rettangoli delle tombe dei martiri (involontari) di una lotta per la verità – evocato dalle scenografie di Sabrina Cuccu e dal sapiente e quasi pittorico disegno luci di Loïc François Hamelin insieme ai costumi di Adriana Geraldo e alla colonna sonora di Luca Spanu – suggerisce l’atmosfera di un “campo” minato – un cimitero a cielo aperto – un luogo sacro oltre la soglia del regno dei morti.
Il “paradiso” trasformato in un “inferno” dove il privilegio di nascita diventa la dannazione di chi deve scegliere se ammalarsi e morire per poter usufruire di un illusorio benessere derivante dalle esercitazioni militari, o semplicemente morire di fame: un implicito ricatto che riguarda anche gli abitanti di aree industriali simbolo del disastro ambientale.
«Ci troviamo nella sala prove di un teatro. Un gruppo di attori è alle prese con l’allestimento di uno spettacolo teatrale per denunciare quello che, da anni, sta accadendo all’interno e a ridosso del Poligono. Le vicende personali degli attori si intrecciano pian piano con quelle dei loro personaggi. Ricorrendo all’espediente del «teatro nel teatro», L’Avvoltoio si serve degli attori e dei personaggi per dare fiato al dolore di padri e madri, figli e figlie, fratelli e sorelle, soldati: testimoni e vittime tutti della stessa tragedia. La loro storia tocca da vicino Quirra e l’intera Sardegna, con il suo territorio occupato per il 60% da servitù militari; ma coinvolge tutta l’Italia, con i suoi Poligoni nel Triveneto, in Puglia, nel Lazio, in Toscana, su cui gravano forti sospetti di contaminazione. Per questo attori e personaggi non fanno mai nomi, né di luoghi, né di persone. L’Avvoltoio racconta la loro storia così com’è, cruda e ruvida. Vuole scuotere lo spettatore; farlo riflettere, arrabbiare; spingerlo a fare domande, e chiedere le risposte a chi quelle risposte deve darle. C’è una strage in corso. Silenziosa» scriveva l’autrice Anna Rita Signore. Con una nota di cronaca – al momento del debutto – per quelle singolari coincidenze che a volte la vita regala: «Oggi è in corso il processo che vede, per la prima volta in Italia, dietro il banco degli imputati, otto alti ufficiali militari».
Al di là dell’esito del processo – è stata finalmente porta alla luce una verità “scomoda” – che continua a destare scandalo – sul palcoscenico – per far riflettere, accanto ai grandi classici, sul ruolo della politica e sulle responsabilità – collettive e individuali.
“L’Avvoltoio” – dopo il “debutto” nel nuovo palcoscenico nel cuore di Is Mirrionis a Cagliari sotto l’egida del Teatro del Segno – ritorna al Teatro Massimo di Cagliari (Sala M3) per la Stagione di Sardegna Teatro – da martedì 2 fino a domenica 7 aprile – tra matinées per le scuole e recite pomeridiane.