“La risposta è contenuta nelle parole Giustizia e Comunità. Il ragazzo che commette reato deve essere fermato in carcere, ma il tempo minimo per espletare le procedure. Dopo circa due mesi il ragazzo assume l’identità del modello, stereotipo, etichetta che la società riserva a chi commette determinati tipi di reato. Il ragazzo entra nell’ottica del non vedo, non parlo, non sento, fondamentalmente basato su un rapporto falsato che non prevede misure alternative”
Don Ettore Cannavera, Fondatore della comunità “La Collina” di Serdiana
“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” (art. 27, Costituzione Italiana)Come si evince dallo scritto, la chiara possibilità, prevista costituzionalmente, di estinzione della pena, specificato altresì nell’art. 178 c.p. “La riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti“. A questa segue la possibilità da parte del reo, di ri-acquisto della capacità giuridica persa in seguito alla condanna e di riacquisizione, con esclusione della recidiva che finirebbe per far crollar inevitabilmente tale operosità. La sospensione condizionale potrà allora essere revocata e, di fatto, ammessa in seguito alla valutazione della gravità del reato (art. 133 c.p.) e non concessa a chi abbia riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, inclusa la riabilitazione, ne al delinquente o contravventore abituale o professionale, ed allorquando alla pena inflitta deve essere aggiunta una misura di sicurezza personale, definito il reo quale “persona socialmente pericolosa”. La condizionale della pena rende inapplicabili le misure di sicurezza, eccetto che nei casi di confisca, e non può essere concessa una seconda volta.
La legge prevede questo in caso ante delictum, ovvero in presenza, da una parte di un indizio di commissione di preciso reato, e dall’altra da un indizio di pericolosità, ma non esiste attualmente una norma che preveda l’adottabilità della cosiddetta prevenzione primaria, responsabilità delegata a figure ed enti professionali del caso.
Riprendiamo in mano l’art. 3 della Costituzione che specifica:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese“.
Relativamente alla seconda parte potremmo chiederci quali siano i compiti della Repubblica in riferimento alla rimozione di tali ostacoli, nella fattispecie, sociali. Naturale conseguenza della mancata rimozione degli ostacoli è la limitazione della libertà e l’eguaglianza dei cittadini, il “pieno sviluppo” della persona umana.
Prevenzione terziaria o primaria?
E’ più conveniente trattare e procedere a sentenze di condanna o attivarsi specificatamente con iniziative volte alla prevenzione primaria, in particolar modo nei riguardi della prima fascia della popolazione? L’equilibrio, in questo senso, può coesistere soltanto attraverso la collaborazione tra istituzioni socio-sanitarie e giuridiche nella predilezione della cosiddetta “prevenzione primaria”, non escludendo queste ultime, mediante la promozione di specifiche iniziative tese a sviluppare la sensibilità dell’opinione pubblica verso tematiche attinenti all’istruzione, alla formazione, alla sensibilizzazione, oltre che la promozione, dei diritti fondamentali di ogni individuo; i cosiddetti “diritti inalienabili”.
Daniele Fronteddu