L’introduzione, nel sistema giuridico di modifiche relative al riconoscimento, ha reso possibile lo sfondamento delle precedenti restrizioni relative al diritto di famiglia con la sostituzione dell’art. 74 c.c. (parentela), dell’art. 251 c.c. (autorizzazione al riconoscimento), dell’art. 276 c.c. (legittimazione passiva), dell’art. 315 c.c. (stato giuridico della filiazione), dell’art. 315-bis c.c. (diritti e doveri del figlio) e dell’art. 35 c.c. (nome). Tali specificità hanno reso possibile l’equiparazione dei diritti anche sulla base dell’importanza di quanto previsto dal dispositivo n. 315-bis c.c. che recita: “il figlio ha diritto ad essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni” e “ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti“, riscontrabili anche nel primo comma del secondo articolo della Convenzione dei Diritti del Fanciullo (New York, 1989), “Gli stati si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione e a garantirli a ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta e a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza“.
Nel secondo comma dello stesso “Gli Stati parti adottano tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari“, nel primo comma del settimo “il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi“, del secondo comma dello stesso “Gli Stati vigilano affinché questi diritti siano attuati in conformità con la loro legislazione nazionale e con gli obblighi che sono imposti loro dagli strumenti internazionali applicabili in materia, in particolare nei casi in cui se ciò non fosse fatto, il fanciullo verrebbe a trovarsi apolide“.
Sia il secondo che il settimo articolo della Convenzione pongono l’accento sulla responsabilità attribuita ad ogni Stato affinché i diritti dei fanciulli siano riconosciuti e valorizzati secondo le disposizioni legislative appartenenti a ciascun Stato, nel rispetto delle norme contenute all’interno della Convenzione. La centralità del ruolo del minore ed il riconoscimento, equiparazione dei diritti dei primi ai secondi, è stata confermata dall’entrata in vigore della legge in esame, con la sostituzione del termine “figli” ai convenzionali “legittimi” e “naturali“, essendosi resa necessaria un altra importante modifica quale quella del Titolo IX del libro I del Codice Civile, intitolato dapprima “Della potestà dei genitori” ed in seguito “Potestà dei genitori e diritti e doveri del figlio”.
Riconoscere l’importanza di un bene comune, sganciato da logiche possessivo-arcaiche, princìpio universale cardine tristemente andato in dimenticanza durante lo sviluppo antropologico-culturale e sociale, soprattutto in riferimento ad “esseri umani” , gli stessi figli che non ci appartengono, è co-significatore del ri-conoscimento del senso più “intimo” del termine “condivisione” e, nell’accezione più ampia, di “comunità”.
Daniele Fronteddu