L’incontro di ieri ha visto riunirsi attorno ad un tavolo Gabriele Bardazza, Perito dei familiari delle vittime, Francesco Sanna, Giornalista, ideatore della campagna #iosono41 e coautore del testo “Il caso Moby Prince: la strage impunita. Nuove rivelazioni e documenti inediti” insieme a Bardazza, Carlo Melis-Costa, Avvocato, legale dei familiari delle vittime, Paolo Mastino, Giornalista Tgr Sardegna (autore di Buonasera, Moby Prince), Andrea Frailis, Parlamentare, Membro Commissione Difesa della Camera e Luchino Chessa, Presidente Associazione 10 aprile-Familiari vittime Moby Prince Onlus.
Alle ore 19 in punto è stato presentato, alla libreria Ubik, il testo di Gabriele Bardazza e Francesco Sanna, anticipato in sede di approfondimento sul caso. Bardazza, che ha lavorato a lungo con il desiderio di dimostrare quella verità mai trovata, afferma: “Questo libro è una sintesi delle principali novità emerse dopo il lavoro della commissione d’inchiesta e il percorso d’indagine privata, quello che la commissione d’inchiesta ha certificato riguardo l’indagine privata. La storia passa come vicenda narrata sull’errore umano incentrato sul comando nave al più grave caso di omissione di soccorso mai avvenuto nella storia della marineria italiana. Il racconto di 140 persone che attendevano di essere salvate e larga parte poteva anche esserlo, ma così non fu. Accanto a questo, una serie di elementi come l’accordo assicurativo tra le parti in causa, armatoriali e assicurative della vicenda che, a distanza di due mesi dalla collisione, riconoscerà l’ultima vittima del disastro, siglando attorno ad un tavolo la pietra tombale di questa triste storia, accordandosi, in termini economici, sulle rispettive posizioni di risarcimento attraverso un patto di non belligeranza e concludendo, certificando allo Stato la narrazione, mantenuta in questo modo per 28 anni“.
Come evidenziato da Sanna e Bardazza nel testo, la Procura di Livorno a conclusione dell’ultimo atto prodotto dalla magistratura asserisce: “Individuare a ogni costo senza sufficienti elementi probatori processualmente spendibili, determinismi e nessi causali eclatanti, clamorosi e di alto livello, oltre a dissipare preziose risorse, avrebbe il solo effetto di riaprire ferite peraltro mai rimarginate, di creare illusione nei vivi, uccidere una seconda volta i morti, fare molte altre vittime innocenti e costituirebbe un pessimo esercizio del servizio Giustizia“, righe dalle quali si desume, da una parte, un incessante lavoro giudiziario atto a definire quella che poteva essere la verità e dall’altra, un triste lasciato che esclude la possibilità per ulteriori approfondimenti.
“Con la pubblicazione della relazione finale della commissione parlamentare d’inchiesta che descriviamo nel libro – afferma Bardazza – evidenziamo che la verità, narrata per 27 anni all’anno scorso, non corrisponde ai fatti reali ed esiste la possibilità che, come comunicato dall’avvocato Melis, le Procure attivino nuove indagini e possano identificare dei reati o delle ipotesi di reato, acquisendo nuove informazioni. L’associazione dei familiari delle vittime sta pensando ad un azione in sede civile, dove il tema della prescrizione sembra essere meno invasivo rispetto al penale, per condurre la questione, passante per le aule del Senato, ad un Tribunale“.
Luchino Chessa, figlio del capitano, anch’egli presente all’incontro, ne parla con voce sommessa, a ricordare la figura di un padre che ha dato tutto se stesso nel portare a compimento quell’impresa disperata: “E’ stato considerato la causa dell’incidente e, per tutti questi anni, abbiamo lavorato con gli occhi rivolti alla sua figura, chiedendoci il perché di queste infamanti accuse, vista la preparazione e le competenze di alto livello. Il suo pensiero, il suo ricordo ci ha stimolato ad andare avanti nel credere e nell’asserire dell’impossibilità che un uomo come lui, un comandante di lungo corso, sia potuto andare contro una petroliera illuminata come uno stadio, mentre avanzava l’ipotesi di una fitta nebbia. Questa ricerca si è massimizzata quando è stato fatto il suo nome durante il primo, il secondo processo e le indagini bis del Tribunale di Livorno“.
Daniele Fronteddu