Costruzioni, autoriparazione, produzione di beni, somministrazione di servizi alla persona, trasporti, alloggio, ristorazione e agricoltura sono i settori maggiormente esposti alla concorrenza sleale del sommerso anche se nessuna professione più dirsi immune dagli attacchi dell’irregolarità aziendale.“Quella del lavoro nero è un’emergenza che sembra non avere fine”. A lanciare l’allarme è il Presidente di Confartigianato Imprese Sardegna, Antonio Matzutzi. “È una battaglia che portiamo avanti da anni, continuando a sensibilizzare imprese e clienti – continua il Presidente – in un Paese, e in una regione, dove l’arte di arrangiarsi è vista con una certa benevolenza se non proprio con simpatia”.
Nella vecchia provincia di Cagliari sono ben 8.713 le imprese artigiane maggiormente esposte alla concorrenza sleale; 8.411 operano nel nord Sardegna, 4.156 in provincia di Nuoro e 1.942 in quella di Oristano. In Sardegna, il settore più colpito, come è noto, è quello delle costruzioni dove il sommerso concorre slealmente con 13.148 aziende artigiane (56,6% del totale delle esposte). Seguono i servizi alla persona con 4.312 (18.6%), i trasporti e magazzinaggio con 2.589 (11,1%), l’alloggio e la ristorazione con 2.081 (9%), i servizi di informazione e comunicazione con 528 (2,3%), l’agricoltura e la pesca con 203 (0,9%), l’autoriparazione con 144 (0,6%), l’istruzione con 128 (0,6%), l’industria estrattiva con 49 (0,2%) e la fabbricazione di prodotti chimici con 40 (0.2%).
Il contrasto al lavoro nero e irregolare è uno dei punti inseriti nel Manifesto degli Artigiani, collegato al “Rating Sardegna 2019”, che il Presidente della Regione e numerosi Consiglieri hanno sottoscritto poche settimane fa durante la campagna elettorale. Alla Politica, le imprese hanno, infatti, fortemente chiesto di definire un quadro normativo chiaro e certo, per favorire il rispetto delle regole e ridurre il fenomeno dell’abusivismo.
“Il sommerso, l’abusivismo e l’illegalità che contraddistinguono l’economia sommersa sono piaghe che continuano a infettare il nostro sistema produttivo e rappresentano un grave fenomeno di concorrenza sleale – sottolinea Matzutzi – che costringono le imprese regolari a chiudere oppure ad applicare politiche di contrasto che hanno incrementi di costi assai pericolosi”. “La crisi ha accentuato l’abusivismo a dismisura – continua – c’è chi fa il doppio lavoro, chi percepisce la cassa integrazione o è in mobilità ma il fenomeno più grave riguarda chi decide di chiudere bottega e lavorare a casa. Parliamo di chi taglia i capelli a domicilio, a chi fa la manicure, a chi aggiusta le auto, a chi effettua lavori di idraulica, impiantistica, edilizia, sartoria”. “Sempre più di frequente – rimarca Matzutzi – gli artigiani presso i nostri uffici si lamentano, impotenti, della concorrenza sleale di chi opera senza rispettare le leggi sottraendo, aggiungiamo noi, gettito alle casse dello Stato e minacciando al tempo stesso la sicurezza dei consumatori. Noi continuiamo a rigirare le segnalazioni alle autorità che poi hanno il compito di verificare la regolarità delle attività: questo non ci stancheremo mai di farlo”.
“Vogliamo e dobbiamo tutelare gli artigiani regolari, quelli che sono quotidianamente impegnati a contrastare l’illegalità che li colpisce due volte, nel reddito e da contribuenti onesti – interviene e conclude Stefano Mameli, Segretario Regionale – ciò che sta accadendo nella nostra regione è molto preoccupante sia per l’economia, continuamente danneggiata, sia per tutte le imprese e i cittadini onesti, che pagano le tasse e rispettano le leggi”.
Secondo stime del 2015, l’economia sommersa nazionale avrebbe generato un valore aggiunto di circa 190milirdi di euro, pari all’11,5% del PIL, di cui ben 77 riconducibili al lavoro irregolare. Una grave minaccia per le imprese regolari dell’artigianato, deriva dall’abusivismo. Sulla base degli ultimi dati disponibili sui conti nazionali, nel 2015 sono 3milioni e 724 mila le unità di lavoro equivalenti non regolari, occupate in prevalenza (71,2%) come dipendenti, con 2 milioni e 651 mila unità, a cui si aggiunge 1 milione e 72 mila unità di lavoro equivalenti indipendente non regolari (28,8%). Si conta 1 occupato indipendente non regolare ogni 5,7 indipendenti regolari. La rilevanza del fenomeno del sommerso in Italia crea la situazione paradossale secondo cui il lavoro sommerso è maggiore di quello della Pubblica amministrazione: nel 2015 infatti le 3.723.600 le unità di lavoro equivalenti non regolari superano dell’11,6% (388.000 unità in più) le 3.335.600 le unità alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche.
Sono diversi i meccanismi attraverso cui agisce la concorrenza sleale del sommerso: le imprese che evadono possono mantenere prezzi più bassi e mettono fuori mercato le imprese regolari con analoghe funzioni di produzione; l’evasione fiscale consolida il gap tra le aliquote fiscali pagate dalle imprese in regola e le imprese che evadono, dato che il mancato gettito rende difficile politiche fiscali espansive tramite la riduzione delle aliquote fiscali che risulterebbero a vantaggio delle imprese regolari; non si amplia la dimensione delle aziende: le imprese che evadono hanno una minore propensione all’investimento e all’ampliamento del volume d’affari e nel contempo spiazzano gli investimenti delle imprese che non evadono e che non trovano redditività adeguata per l’ampliamento delle dimensioni aziendali.