Un racconto corale denso di pathos con la cifra essenziale e rigorosa dell’artista argentino mette a confronto vittime e “carnefici”, protagonisti di un conflitto mai dichiarato su una terra di nessuno in un angolo di paradiso: Emilia Agnesa, Agnese Fois, Daniel Dwerryhouse, Valentino Mannias, Marta Proietti Orzella, Luca Spanu e Luigi Tontoranelli (in rigoroso ordine alfabetico) sono gli interpreti di una storia emblematica sulle conseguenze impreviste e terribili delle servitù militari.
Un silenzio assordante – interrotto dalle inchieste giornalistiche, spesso puntuali e documentate e più recentemente dal clamore dei processi in cui risulta sempre difficile individuare i colpevoli o (complici i risultati di certe analisi e la scelta dei parametri, ovvero l’innalzamento delle soglie) pur davanti all’evidenza, “certificare” la contaminazione ambientale.
Un’immagine (quasi) poetica – una sorta di “neve” che cade dal cielo e ricopre il paesaggio – è un segno visibile e tangibile del male “misterioso” che colpisce l’Isola e altre parti d’Italia e d’Europa e del pianeta in nome di presunte necessità strategiche e equilibri di forze sulla scacchiera internazionale. Un “cancro” sia reale che metaforico avvelena anime e corpi, rendendo gli abitanti come prigionieri di un crudele incantesimo, costretti a negare quel che accade sotto i loro occhi: non bastano le nascite di creature deformi – bambini e animali – e l’incidenza dei tumori e neppure gli episodi più eclatanti, come la fine prematura e dolorosa di giovani con o senza divisa dopo l’esposizione a radiazioni o sostanze durante le operazioni di bonifica dopo esperimenti top secret.
Il Poligono di Quirra – al centro di accese polemiche e dibattiti, interrogazioni e finalmente inchieste giudiziarie – rappresenta il simbolo di scelte imposte dall’alto verso i cittadini considerati come sudditi, senza diritto di parola e soprattutto senza la facoltà di decidere autonomamente sul proprio futuro.