Allo stesso modo potremmo parlare di bullismo nelle scuole. Il tentativo del bullo come meccanismo di “espiazione” dei problemi vissuti in casa o come come conseguenza di un educazione che non ha tenuto conto della propria personalità: “Si ha l’impressione che il vero scopo di questo ragazzo sia proprio quello di vedersi confermato nella parte del cattivo, e la scuola impotente lo gratifica con il più tradizionale sistema di punizione fino alla sospensione – e più avanti all’espulsione – che è anche oggi una delle poche risposte sperimentate, certo non la migliore possibile, e probabilmente meno di qualche decennio fa. In genere rivela i primi segni della sconfitta della scuola” (Bullismo, bullismi: le prepotenze in adolescenza dall’analisi dei casi agli strumenti d’intervento, 2005).
Potremmo chiederci quali che siano le motivazioni nascoste che conducono un adolescente ad esercitare vessazione nei confronti di un suo coetaneo, e finiremmo, come spesso accade, nell’addossare le nostre incapacità, insicurezze, inadempienze sul docente, sullo psicologo, sul coetaneo del ragazzo stesso.
Stefania, Professoressa di Scuola Media Superiore, riporta con brevità la sua esperienza in merito:
“Non pensavo si trattasse di un profondo disagio, definibile come una situazione di totale smarrimento. Non è semplice sentire di ragazzi che non sapranno dove andranno a pranzo perché non sanno se saranno dal papà, dalla mamma, dalla nonna. Sono figli di genitori situati nelle comunità che tentano la fuga in situazioni di promiscuità, e taluni vivono contesti familiari misti in case, appartamenti non propriamente ampi.
Hanno difficoltà di mantenimento dell’attenzione ed è anche una sfida per noi insegnanti: aiutarli ad apprendere qualcosa senza che nemmeno ne siano coscienti, attraverso caratteristiche tipiche della loro età, come il gioco. Hanno problematiche di fondo che non li abbandonano mai, e la nostra unica possibilità è distrarre la loro attenzione da questo disagio, permettendogli di imparare senza difficoltà. Vedono nella scuola un dovere, un imposizione che non permette loro la comprensione della realtà.
Ho notato una diminuzione dell’attenzione, in particolar modo, dall’avvento degli smartphone, e la loro tendenza a facilitare il calcolo matematico attraverso l’uso della tecnologia. C’è mancanza della capacità di riflessione per via della mancanza di stimoli, di autonomia, dovuta certamente alla negligenza degli stessi genitori che, probabilmente, hanno teso alla delega di responsabilità che non erano in grado di tollerare. Ne risulta una percezione della realtà disequilibrata ed isolata.
Un altra mia osservazione riguarda la solitudine, hanno difficoltà a fare rete e vedono nel prossimo una minaccia; non un amico con il quale socializzare, fraternizzare, condividere i propri problemi, ma qualcuno che può togliergli qualcosa, come se percepissero l’inizio della penuria delle risorse”.
A questo proposito potremmo dire che la definizione dell’esercizio del “limite” nei confronti degli adolescenti, alla luce di numerose testimonianze emerse in questi anni, difficilmente riesce ad affondare, sottolineando ancora una volta l’importanza e le difficoltà riscontrate nell’ascolto dei ragazzi da parte del personale docente, spesso impreparato a tale ruolo, nell’incontro-confronto con le storie dei tanti autori e vittime di bullismo. In aggiunta, sempre più evidente e di fondamentale importanza, la presenza e dell’ascolto da parte dei genitori nella ricerca, ove non fosse stato possibile in precedenza, di nuovi modelli educativi che seguano indiscriminatamente e considerevolmente le inclinazioni, i desideri, le aspettative dei ragazzi.
Daniele Fronteddu