A questo proposito ricordiamo la legge n. 898/1970 recante “disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio” che, all’art 2 dello stesso, enuncia: “nei casi in cui il matrimonio sia celebrato con rito religioso e regolarmente trascritto, il giudice, dopo aver esperito inutilmente il tentativo di conciliazione spirituale e materiale tra i coniugi ed appurando che non può essere mantenuta o ricostituita per l’esistenza di una delle cause previste dall’art. 3, pronuncia la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio”, sottolineando il rilievo implicito nel ruolo di giudice quale mediatore fra le parti, che si assume la responsabilità morale, soprattutto spirituale nella ricerca del comune accordo al fine di salvare il matrimonio. A questo punto il matrimonio, come istituzione atta ad unire due persone di reciproco accordo, trova a livello legislativo il suo più alto riconoscimento e, nel caso concreto, conduce la coppia a confermare il proposito d’unione dinanzi alla legge.
Altra necessaria precisazione riguarda la modifica apportata al libro I, con la sostituzione da “Delle persone” a “Delle persone e della famiglia”, il che ribadisce l’importanza stessa che ha, nel concetto giurisprudenziale formale, l’istituzione della famiglia come sancito dall’art. 29 della Costituzione, il quale reca “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” la cui premessa nasce dal fermo desiderio delle parti “In sponsalibus consensus eorum exigendus est, quorum in nuptiis desideratur” (nella promessa di matrimonio si esige il consenso di coloro dai quali lo si attende alle nozze) e “Sponsalia sunt mentio et repromissio nuptiarum futurarum” (la promessa di matrimonio è una proposta e un impegno a future nozze).
L’art. 143 c.c. reca “con il matrimonio marito e moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri” e “con il matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione”, compare il termine “fedeltà”. Ma cos’è veramente la fedeltà? Spesso illustrata ampiamente dalla letteratura socio-psicologica, come vero e proprio “atto d’amore” che prescinde da ogni discussione, litigio, avversità si presenti. Le avversità non atterrano, ne possono essere considerate minatorie, in quanto la costanza applicativa, quale attitudine dello spirito, è colonna del rapporto stesso.
Allora potremmo parlare delle attuali difficoltà vissute da coppie formatesi “in procinto di” con alcuni giustificabili “forse” in grembo che, sulle note di un alternanza fra attacchi e difese, come riscontrabile nei noti e recenti casi di separazione, vivono drammi inscenati sul nulla quando, in fin dei conti, la soluzione al diverbio è sempre stata all’origine: il presunto concetto di “amore” da ambedue le parti. Dalla semplicità di un bisogno d’amore puro e scevro da ogni malizia si creano così maschere di astio, rancore e disprezzo nei confronti di quella che, tempo prima, era “la persona amata“, su presupposti meramente egoistici che lasciano ben poche speranze alla possibilità di incontro-confronto: aspetto “distorto” del concetto di complicità, declinazione astratta che lascia entrambi con l’amaro in bocca.
Daniele Fronteddu