Don Allori non fece in tempo ad assistere a questa pratica a Iglesias, ma conobbe questa tradizione attraverso la viva testimonianza del Cancelliere della Curia di Iglesias, mons. Luigi Cinesu, con il quale collaborò in veste di vice cancelliere per circa trent’anni, e che aveva predicato per l’ultima volta tale funzione proprio nel 1947. Questa pratica caduta in disuso dovette interessare molto don Allori, sia dal punto di vista religioso sia per l’aspetto musicale, dal momento che egli compose due versioni delle SetteParole di N.S.G.C. in croce nel 1980 e nel 1983. Opere oggi largamente eseguite sia dalle corali della Sardegna sia da quelle del Continente e anche da altri cori di diversi paesi europei.
Nell’aprile del 1995, in occasione del 10° anniversario della morte di don Pietro Allori, nella Basilica di S. Ambrogio di Milano il Coro dell’Università Cattolica eseguì alla presenza dell’allora vescovo di Iglesias, mons. Arrigo Miglio, la versione delle Sette Parole composta nel 1980 scegliendo come immagine di copertina di un elegante e prezioso programma un disegno su carta di Giovanni Marras, artista nato a Iglesias nel 1907 e morto nel 1966, realizzato per un progetto di affresco per la cattedrale di Iglesias.
La scelta dell’immagine di copertina non fu dovuta esclusivamente al soggetto rappresentato che si ricollegava al contenuto musicale liturgico di quel concerto, ma perché questo disegno faceva e fa parte ancora oggi, insieme ad altre opere di Giovanni Marras, dell’archivio di don Pietro Allori (conservato a Gonnesa) ed è ad esso che il compositore s’ispirò nella stesura delle sue Sette parole.
Le affinità tra i due artisti non sono solo ambientali. Le parole del critico Nicola Valle, a proposito di alcuni lavori esposti in una collettiva da Marras, potrebbero idealmente descrivere, di Pietro Allori, la costante attenzione all’esperienza umana del pubblico al quale la sua musica si rivolgeva: […] queste opere sono maturate in un’atmosfera di lotte, di rinunce, in mezzo a una collettività di cui Marras rievoca gli stenti, gli incubi, il quotidiano malessere, le aspirazioni. Il lavoro dei minatori, degli artigiani, dei contadini, delle massaie, viè celebrato in slanci generosi di umana solidarietà; c’è l’esaltazione del sacrificio e la denuncia della sofferenza, ma senza il rancore dei vinti. Un sentimento di cristiana speranza e di simpatia sembra circolare in questo mondo oggettivamente in figure e di tipi di gente affaticata, come se ne trovano nel bacino minerario d’Iglesias”.
Il clima umano dal quale Marras e don Allori traevano materia e verso il quale rivolgevano le loro attività artistiche è questo. Ma c’è un altro punto di contatto: da un lato abbiamo una composizione scritta per una pratica devozionale decaduta, dall’altro un affresco mai realizzato. E, ancora, suggestiona il fatto che don Allori si riferì a un’immagine, seppure incompiuta, per comporre le musiche di una paraliturgia che prescriveva l’eliminazione di immagini e persino di luce: la cattedrale in semioscurità, drappi neri a coprire le vetrate … le immagini temporaneamente occultate, ma che ci sono e vivono anche se soltanto nella memoria.
Anche l’ascolto delle Sette parole può contribuire a sollecitare la nostra memoria, capace di alimentare un autentico sentimento di adesione alle corali e commoventi tradizioni popolari della Settimana Santa che, da sempre, nella vita iglesiente costituiscono il fulcro di una vita spirituale e civile affrontata con vera passione di umanità e di forte speranza dai suoi cittadini.