La semplicità non è un obiettivo nell’arte, ma si raggiunge la semplicità anche senza volerlo penetrando nel vero senso delle cose, per dirla con Brancusi. E brancusiane appaiono le superfici che possiedono quella levigatezza organica, la cui capacità di assorbire e riflettere la luce, in un complesso gioco di tensioni e rimandi, le colloca in una dimensione sacrale, la stessa acquisita laddove la plasticità da essenziale diventa assoluta. Chiridio è tutto ciò ma non solo.
Costituito da due serie di opere, entrambe derivanti da una lunga ricerca nel mondo delle forme naturali, il progetto site specific muove concettualmente dai chiridio – scheletri dell’arto prensile nei vertebrati tetrapodi nonché derivazione anatomica della pinna dei pesci divenuti terrestri – e dai lamellari – analoghi agli ossi di seppia – scheletri di strutture viventi sottomarine, ultimo ricordo calcareo di colonie di esseri microscopici come i celenterati.
La fascinazione per le forme acquatiche primitive, per le creature primordiali zoomorfe e soprattutto per la natura invisibile di quegli organismi microbiologici diventa imprescindibile per rievocare con umiltà e rispetto la spiritualità dei riti della Settimana Santa cagliaritana, celebrando un rigoroso bianco e nero ispirato ai costumi utilizzati nelle processioni.
Ed ecco che l’opera Chiridio, che origina dallo studio della mano racchiusa, accostato al lungo chiodo, che da sezione circolare diventa quadrata senza soluzione di continuità, incarna metaforicamente il rito di Su Scravamentu, ovvero la deposizione dalla croce del Cristo Morto, mentre S’incontru, l’incontro del Cristo risorto con la Madonna, è evocato dalle due opere accoppiate in dialogo mobile, maschile e femminile disposte una di fronte all’altra diagonalmente. Il progetto trova il suo culmine spirituale nell’ultima scultura evocante l’ascesa finale: la foglia di ulivo, o il germoglio di palma. Simbolo di martirio ma soprattutto richiamo all’entrata trionfale di Cristo a Gerusalemme che anticipa la Resurrezione dopo la morte.
Attraverso sofisticati strumenti, le due serie di sculture hanno la capacità di interagire tra loro e con il pubblico nell’ambito di un’atmosfera sacrale e di riflessione. Il tutto all’interno dell’alveo di una tendenza minimalista che depura le strutture dal superfluo e le pone in una condizione cinetica d’impronta calderiana, nonostante la pesantezza dell’acciaio, e una manualità certosina che mette in risalto l’abilità indiscussa dello scultore. In definitiva è la memoria che si coniuga alla forma, forma primordiale trasposta in maniera ipertrofica nell’acciaio, forgiata e finita con minuzia dei particolari e in continua evoluzione. L’arte è ricerca continua, assimilazione di esperienze passate, aggiunta di esperienze nuove, nella forma, nel contenuto, nella materia, nella tecnica, nei mezzi, come sottolinea Bruno Munari.
È negli scatti fotografici di Cristian Castelnuovo – che ha immortalato sul fondo marino le sculture restituendone una parvenza surreale e straniante per creare l’illusione che dal mare provengano -, che il site specific trova degna chiusura. Operazione che ricorda concettualmente la monumentale mostra d’invenzione di Damien Hirst presentata a Venezia nel 2017 e che in merito lo stesso artista dichiara in un’intervista: Un velo è una barriera, un sipario tra due cose, un oggetto che puoi guardare e attraversare. È solida, ma anche invisibile e al tempo stesso rivela e nasconde la verità, che è ciò che stiamo cercando.
Roberta Vanali