“La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano”
da Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupery
Le persone che ho conosciuto stavano tutte con me in prima fila, attente e presenti a quelle parole, stavano “Ascoltando”. Ho visto nei loro occhi il desiderio di ri-conoscere, di ri-trovare nel prossimo, nelle parole dei relatori che si alternavano sul palco, il loro stesso desiderio alla ri-scoperta della vita, delle meccaniche che tengono apparentemente imprigionate le persone nei soliti meccanismi comportamentali, il desiderio di superare queste finte limitazioni che non hanno, per davvero, alcun senso.
Uno spazio di formazione ed aggiornamento: “Psicoterapie per un nuovo umanesimo” è un invito alla riflessione, un ritornare all’interno, ri-conoscersi e riconoscere le proprie emozioni, al fine di realizzare un intervento terapeutico che possa accogliere le profondità del prossimo. Ascoltarsi per Ascoltare.
Ad aprire il convegno il Prof. Paolo Virno, docente di filosofia del linguaggio presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Roma Tre che ha parlato di “Necessità Antropologica del verbo avere“, a delineare il quadro di una società quanto mai consumistica che pensa, forse troppo, a quel che si dovrebbe ricevere e quasi mai a quel che invece si dovrebbe dare: focalizzare l’attenzione sulla logica del ricevere prima ancora di dare, a fronte di determinate mancanze, e tendere al rifiuto del più semplice “mettersi umilmente da parte” continuando, ripetutamente ed insistentemente, a metterci d’intralcio a noi stessi, non permettendo così, alla nostra vera essenza, di venire alla luce. Il verbo dare, tendenzialmente poco contemplato, in una società dove le consuetudini basate su schemi logico-comportamentali atti alla separatività che conducono al mero riconoscimento delle differenze, alla valorizzazione dell’apparenza, diviene imperativo di riconoscimento delle similitudini fra persone che non riescono a vedersi per quel che sono realmente, a guardarsi dentro, preferendo una realtà oggettiva a garanzia di mantenimento di un sicuro status quo.
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
“Per favore… addomesticami”, disse.
“Volentieri”, rispose il piccolo principe, “ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici e da conoscere molte cose”.
“Non si conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe. “Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico, addomesticami!”.
“Che bisogna fare?”, domandò il piccolo principe.
“Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe. “In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…”
da Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupery
Il successivo intervento da parte del Dott. John McNeel, psicoterapeuta, didatta e supervisore in AT, esperto del modello ridecisionale “Guardando alle radici della Terapia Ridecisionale: che cosa conta davvero per incontrare un cliente” evidenzia la necessità di una completa ri-valutazione degli attuali approcci metodologici che possano tendere alla profondità della persona, al riconoscimento della radice del disagio, nella sua interezza, nella sua semplicità, per una rapida trasformazione e, nel seguito “I messaggi esistenziali presenti nelle ingiunzioni: nuovi processi nel lavoro ridecisionale” desidera porre l’accento su tutte quelle prerogative metodologiche atte, da una parte, a definire la dimensione del disagio, le sue implicazioni nella quotidianità, dall’altra, ricordare che un solo esito positivo è una vittoria per tutta l’umanità.
“il bambino viene, prima rifiutato nella sua interezza, nella sua semplicità dai familiari, dai parenti, poi richiamato alla loro compagnia. Viene, prima condannato a non poter essere se stesso, all’abnegazione e dopo “ri-cercato” dalle stesse compagnie che lo hanno disapprovato, che non lo hanno “accolto”. E’ chiaro che il bambino avrà paura di sbagliare, in un mondo fatto di continue ri-proposte emotivamente destabilizzanti, un mondo dove sente di non poter essere Se Stesso, davanti a quelle stesse persone alle quali emotivamente legato o a loro somiglianti”
L’intervento di McNeel vuole portare all’attenzione del pubblico l’importanza dell’Ascolto, quella forma di intimo accoglimento, ineguagliabile ed insostituibile, nemmeno con la più ipotetica delle idee. La paura di sbagliare, data da un contenimento mai avvenuto, dalla distanza emotiva delle figure di riferimento, se non superata si rinforza, consolidando nel tempo determinati, pensieri, convinzioni, comportamenti, costituendone l’abitudinarietà che esclude ogni qualsiasi altra forma d’ascolto. Più profonda e larga è la ferita emotiva, meno fiducia daremo agli altri, meno saremo disposti all’accoglimento dell’altro, soprattutto nel riconoscimento della Sua ferita, la nostra, che tenderemo a nascondere per paura che possa ritornare a far male. Allora le sue parole, in relazione alla nostra ferita, si trasformano in “parole chiave” che naturalmente intenderemo negativamente, perché sentite, avvertite come una minaccia a noi stessi, alla nostra delicatezza emotiva.
“Le ferite emotive, se non superate, si ripresentano, impedendoci di vivere al nostro massimo potenziale, di fatto, essere Felici. Lamentarsi dell’altro è un po lamentarsi di se stessi. Se l’altro avrà avuto quel che io non ho avuto non mi sentirò in parità con lui, sentirò quella profonda mancanza, quella profonda sofferenza e non sarò felice”
Ogni ferita emotiva ha una sua profondità e suppone una scarsa autostima che non permette un completo rendimento. Di fatto, l’emozione ferita dell’adulto si estrinseca nella paura di sbagliare: nasconde o evita di esprimere le proprie emozioni perché se dovesse erroneamente “sbagliare” verrebbe ignorato o trascurato. Ascoltare l’altro, in questo senso, significherebbe ritornare ad ascoltare le proprie emozioni ferite, accettarle e superarle.
“Quindi non potrò aiutare l’altro se non avrò aiutato me stesso. E intanto, quel bambino continua a piangere…”
L’altro diviene soltanto uno specchio che riflette le nostre ferite emotive, un occasione di confronto con paure e traumi del nostro passato. McNeel ricorda, con il sorriso sul viso, l’importanza della psicoterapia “quale strumento in grado di cambiare il mondo”.
La tavola rotonda, coordinata dal Dott. Luis Rosòn Galache, vede, a conclusione della prima giornata di convegno, incontrarsi fra loro gli sguardi che tendono a quest’importante ricerca, la ricerca di un nuovo modo per uscire dalle difficoltà, un nuovo modo di affrontarle.
Nel film al quale sono molto affezionato “Un sogno per domani“, il Prof. Simonet, davanti ai visi degli undicenni ed al viso sbalordito ed affascinato di Trevor Mckinney, ragazzino sensibile figlio di madre alcolista e padre violento, riflette un monologo sul rapporto tra noi e gli altri: “C’è un mondo là fuori e anche se decidete di non volerlo incontrare, comunque vi colpirà dritto in faccia, credetemi. Dunque è meglio cominciare a pensare al mondo ora, a cosa vuol dire per voi: che significa il mondo per ognuno di voi? Coraggio! Vorrei una classe che partecipa qui! È solo da quest’aula che volete tirarvi fuori? Da casa vostra? Dalla vostra strada? Nessuno di voi vuole spingersi oltre? Ogni quanto pensate alle cose che accadono fuori da questa città? Guardate il telegiornale? Sì, no? Bene, non siamo ancora pensatori globali, ma perché non lo siamo? Trevor: Perché… abbiamo undici anni
Prof. Simonet: Giusto rilievo, forse Trevor ha assolutamente ragione, perché dovremmo pensare al mondo, insomma, dopotutto cos’è che il mondo si aspetta da noi, da te: cos’è che il mondo si aspetta da te?
Trevor: Niente. Prof. Simonet: Niente… Mio dio, ragazzi e ragazze ha assolutamente ragione: niente. Sì, eccovi qui: non potete guidare, votare, non potete nemmeno andare in bagno senza un permesso da parte mia, siete incastrati, proprio qui nella seconda media. Ma non per sempre, perché un giorno sarete liberi. Ma che succede se il giorno in cui sarete liberi non siete preparati, non siete pronti, eppure vi guardate intorno e a voi non piace il mondo com’è… e se il mondo è un’enorme delusione ? Paco: Siamo fregati!
Prof. Simonet: A meno che non prendete le cose che non vi piacciono di questo mondo e le sbattete via facendole finire a terra sulle chiappe. E potete cominciare a farlo oggi: questo è il vostro compito, avrete un voto e vale per tutto l’anno. No, no, un momento: cos’è che non va? Qual è il problema?
Ragazzi: E’ tipo così… Strano… Pazzesco… Faticoso… Barboso
Prof. Simonet: Barboso, faticoso… che ne dite di… possibile? È possibile, il regno della possibilità esiste dove? In ognuno di voi… Qui perciò potete farlo, potete sorprenderci, spetta a voi, o potete starvene impalati e lasciarlo atrofizzare. Domande?”
Daniele Fronteddu