Le opere esposte datano ad anni recenti e si presentano varie sotto il profilo dei materiali e delle tecniche. Molte – dice la curatrice della mostra Simona Campus – esprimono una dimensione oggettuale capace di entrare in relazione con lo spazio, tutte reinterpretano nel presente, in maniera originale e talvolta imprevista, le suggestioni provenienti da quella che nella seconda metà del secolo scorso fu chiamata “arte popolare”. E l’arte popolare, che poi significa arte della società di massa, oggi come allora mette in scena la realtà, nei suoi aspetti problematici e contraddittori, in quelli semplici e banali. Come un reality show.
Nel corso della mostra sono previsti diversi appuntamenti collaterali, performance teatrali, attività didattiche e visite guidate particolari.
IL PERCORSO ESPOSITIVO
Nella varietà delle forme espressive e dei materiali usati – spiega il collezionista Ercole Bartoli – le opere della collezione oggi in mostra all’EXMA sono unite da un comune pensiero, a volte trasgressivo e provocatorio, più spesso ironico, che attinge dalla quotidianità e come tale può ricondursi al pensiero popolare che animò gli artisti protagonisti delle avanguardie degli anni Sessanta.
Il percorso espositivo si presenta unitario ma allo stesso tempo articolato in differenti nuclei tematici, che possono essere individuati anche grazie ad alcune citazioni dei maestri storici disseminate lungo la sala, frasi celebri, di Warhol ovviamente, e di Roy Lichtenstein. Proprio a partire dalla citazione di Lichtenstein secondo cui «la pop art è rivolta al mondo», la prima parte della mostra si affaccia sulla precarietà dello scacchiere geo-politico internazionale, sospeso sulla soglia della globalizzazione e dei grandi problemi irrisolti del nostro tempo, dai fenomeni migratori così drammaticamente attuali agli equilibri instabili tra Est ed Ovest, tra nuove e vecchie potenze economiche. Il murale di BR1 che ci accoglie con la sua monumentalità, insieme ai lavori – tra gli altri – di Daniele Alonge, Leonardo Boscani, Pierpaolo Luvoni, narrano dunque verità scomode e paradossi.
Proseguendo, si transita attraverso il fascino esercitato, ancora oggi, dalla frenesia delle grandi metropoli, come la New York fotografata da Davide Bramante, luogo per eccellenza dell’immaginario pop, costellato di manifesti pubblicitari e insegne al neon, abitato da comunità liquide e dalle più varie forme espressive. Si giunge così alla seconda parte dell’esposizione, colorata dai riferimenti ai linguaggi dei fumetti e dei cartoons: è qui che s’incontrano alcune coppie, celebri eppure null’affatto scontate, come Batman e Robin dipinti da Massimo Festi, oppure Olivia, inesorabilmente attratta dal muscoloso Brutus nel grande dittico di Giuseppe Veneziano.
Ma una domanda sorge spontanea: dov’è finito Braccio di Ferro? S’incontrano, ancora tra ironia e cinismo, eroi sempre meno sicuri dei propri superpoteri, «superoi con superproblemi», come li avrebbe definiti Stan Lee, a ricordarci, se mai ce ne fosse bisogno, di quanta distanza corre tra l’essere e l’apparire.
L’ultima parte della mostra è tutta dedicata al demone del consumismo, simboleggiato dall’icona imperitura della coca-cola che si ritrova nell’opera accattivante di Demelza Spiga: oggetti che provengono dalla vita quotidiana e dalle nostre case assumono dimensioni o sembianze inusuali, proiettandoci da una dimensione conosciuta ad una dimensione surreale e inquieta, dove a dominare sono le nostre ossessioni: l’ossessione per il cibo, ma anche quelle per il sesso e per la bellezza, che prendono corpo e ci fanno riflettere.
L’allestimento, appositamente progettato, ci immerge in un’atmosfera informale, simile a quella di un grande loft e ispirata alla Silver
Factory, dove Warhol installò la propria fabbrica dell’arte, tutta coperta di carta stagnola argentata. In questo allestimento, con Warhol che fa da nume tutelare, c’è uno stanzino – tutto argentato anch’esso – in cui ognuno può fotografarsi e farsi fotografare: una sorta di “confessionale”, proprio come nei reality show, dove diventare celebri. Almeno per un po’.
FONDAZIONE PER L’ARTE BARTOLI-FELTER
La creazione nel 2003 di una Fondazione destinata a promuovere i giovani artisti sardi, nel confronto con artisti italiani e stranieri, ha rappresentato il coronamento di una grande passione maturata nei decenni precedenti e alimentata attraverso un sempre più attento collezionismo. Da allora si sono succedute numerose iniziative e le opere della Fondazione per l’arte Bartoli-Felter sono state messe a disposizione di musei, teatri, istituzioni pubbliche e private; la fiducia e il supporto del Comune di Cagliari hanno consentito la realizzazione di esposizioni personali e collettive in prestigiosi spazi cittadini. Con l’apertura, qualche anno fa, di un proprio spazio espositivo, il “Temporary Storing”, la Fondazione ha proseguito assiduamente il lavoro divulgativo e didattico legato alla propria collezione, che non soddisfa il desiderio feticista dei proprietari ma risponde all’intento di condividere la conoscenza dell’arte contemporanea in Sardegna.
#REALITYSHOWEXMA
Nella sua Silver Factory Andy Warhol amava fotografare i suoi ospiti. Così lungo il percorso espositivo ci si imbatte in uno spazio, ispirato come il resto dell’allestimento alla Silver Factory, ma che richiama anche i “confessionali” dei reality show: qui i visitatori saranno liberi di farsi ritrarre e condividere il proprio scatto sui social utilizzando l’hashtag #realityshowexma.